Sabato sera si è concluso in tv il processo Tarantini (coordinatore, secondo l’accusa, di un giro di escort rifilate ai potenti in cambio di affari), snocciolato in una serie di puntate di Un Giorno in Pretura. Share al 7% per ottocentomila spettatori piuttosto fedeli vista la permanenza media sul programma.

Un Giorno in Pretura di sicuro il titolo più longevo della Rai, a parte alcune rubriche collaterali della fabbrica dei TG, come la Domenica Sportiva, TV7, TG2 Dossier etc. In effetti la trasmissione nacque nei primissimi anni ’80, cioè 35 anni or sono, e fu il primo assaggio della “tv realtà” che avrebbe di lì a poco caratterizzato la Terza Rete. L’idea pasoliniana raccolta da Angelo Guglielmi era di “descrivere la realtà con la realtà”, disintermediando il più possibile il rapporto fra il pubblico e il mondo rappresentato in tv.

Da qui l’iniziativa di piazzare le telecamere nei dibattimenti davanti al Pretore che allora, prima della riforma della procedura, sbrigava i casi cosiddetti minori. Come titolo, anche in funzione di ironico alleggerimento, fu scelto quello del film diretto nel 1953 da Steno, il padre dei Vanzina, con Peppino de Filippo nei panni del pretore Salomone (nome non casuale) e Alberto Sordi in quelli di Nando Mericoni, lo stesso che nell’Americano a Roma, sempre per la direzione di Steno, condannava il maccarone alla distruzione.

Ma la realtà non basta riprenderla per farla narrare di sé (se così fosse la tv riciclerebbe le immagini delle telecamere di sorveglianza) ed è comunque necessaria una mano che ne ricucia i momenti significativi. Siamo sempre lì, alla tensione fra oggettivo e soggettivo, fra il mondo come è (boh?) e il mondo quale viene percepito e concettualizzato (e qui ognuno fa, più o meno, da sé). Sul tema si accapigliano da sempre filosofi e moralisti, ma Roberta Petrelluzzi è sempre riuscita a tenerli buoni perché lavorando sulla montagna delle riprese in aula, alla fine l’effetto di mostrarti la realtà te lo dà, eccome, a differenza delle baruffe recitate in studio dei vari Forum e cloni dilagati nella pomeridiana tv da pianerottolo.

Di certo il programma ha un pubblico “suo”, che potremmo definire “medio-alto”, parimenti distribuito fra uomini e donne e fra tutte le aree del Paese. Un pubblico che aumenta col crescere del titolo di studio (come accade per tutti i programmi centrati sulle parole) e con una peculiare presenza di donne residenti in città e impegnate in lavori fuori casa.

Resta da sottolineare che la sfilata delle ragazze del Bunga Bunga ha un po’ mischiato le acque usuali convocando in platea anche i brufolosi maschi dell’età adolescenziale, tant’è che questi, dall’1% di share concesso a novembre a un processo “normale” (si parlava dell’uccisione di un tassista a seguito di un litigio stradale) sono schizzati al 10% grazie all’Ape Regina e alle sue sodali e rivali. Come a dirci una volta di più che il berlusconismo, come i capi fuori moda, in giro non lo vedi, ma stai certo che viene conservato nel guardaroba dell’immaginario nazionale.

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