E’ stato Aziz a raccontarci lo strano destino di questo giovane scafista di 22 anni che nel luglio scorso, dopo essere stato soccorso dalla Guardia Costiera, appena ha intravisto il promontorio di Portopalo di Capo Passero si è buttato in acqua per timore di essere di nuovo arrestato a Siracusa, dove lo avrebbe aspettato una condanna più lunga, questa volta, perché recidivo. Voleva arrivare a nuoto a Marsala, dove ha degli amici e sperava di cavarsela. E invece dopo 12 ore di bracciate, è stato avvistato da un pescatore che lo ha portato a Marzamemi, dove però lo aspettava il commissario Parini. “I capi dell’organizzazione sono due fratelli, di cui uno è claudicante perché ha una ferita da arma da fuoco a una gamba. Uno si occupa di organizzare i viaggi, mentre l’altro (i nomi non possono essere riportati perché ancora oggetto di indagine) cura i barconi. Il padre fa il cassiere e la madre è contabile”, ha riportato Karim. “E siccome sono molto potenti hanno addirittura dei cantieri navali per sistemare e costruire le barche. Ci lavorano ragazzi subsahariani, come aiutanti, ma i carpentieri sono tunisini ed egiziani. I cantieri si trovano sia a Zuwarah, sia a Zabrata, sia a Ras Lanuf”.

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Questa notizia dei cantieri navali in Libia, mai emersa prima, ha fatto sussultare i membri della squadra del Gicic, pare, che hanno guardato increduli il commissario Parini. Lui ha annuito e ha confermato. “Karim sta dicendo la verità. I cantieri navali si trovano anche in Libia”. E poi interrogato sul bunker della banda dei trafficanti a conduzione familiare, Karim ha aggiunto: “Davanti alla casa vicino alla spiaggia, c’è un furgoncino che nasconde una piccola mitragliatrice ”. E poi ha indicato la via, la casa sulle mappe di Google. Il quartiere generale della banda, nella parte orientale di Zuwarah e la villa-bunker vicino alla spiaggia. Parini gli ha chiesto più e più volte perché ha paura a tornare a casa.

E Karim ha spiegato: “Dopo che l’anno scorso sono stato rimpatriato in Tunisia e arrestato dalla polizia, ho cercato di uscire dal giro. Non volevo più fare lo scafista. Non volevo più guidare barconi con 300 persone che venivano maltrattate, picchiate e affamate durante il viaggio, ma poi un giorno un tunisino mi ha avvicinato, mi ha detto che il capo della banda mi salutava e ho capito che non avevo scelta: sono tornato da loro in Libia. E ora se mi rimpatriate, mi ammazzano. Loro seguono questa regola: se vieni arrestato in Italia, una volta rientrato, non ti pagano e ti sorvegliano. Poi grazie alle informazioni della polizia tunisina, gli ufficiali corrotti che passano loro tutte le informazioni, verificano se non hai parlato con la polizia italiana: se sei pulito ti rimettono al loro servizio. Altrimenti..” e pare che a questo punto Karim abbia fatto un segno inequivocabile che voleva dire: “Mi sgozzano”.

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