Il 2016 sembra essere iniziato con l’acuirsi delle due crisi che hanno caratterizzato il 2015: l’avanzata del fronte jihadista e la caduta del prezzo del petrolio. Il primo fenomeno si manifesta con il proliferarsi di attacchi terroristici nel mondo, il secondo innesca una spirale deflattiva sui mercati finanziari. Entrambi sono il prodotto della pessima gestione della globalizzazione da parte dell’Occidente.

Tralasciando per ora la crisi petrolifera, concentriamoci su quanto avviene nell’universo jihadista e domandiamoci chi è il nemico. Difficile stabilirlo. Il jihadismo è una nebulosa di gruppi di varia grandezza legati da ideologie ultra conservatrici, gruppi che hanno scelto la violenza politica quale strumento principale della loro lotta. Insomma il jihadismo è una sorta di sinonimo moderno di terrorismo, il terrorismo del villaggio globale. Una spiegazione superficiale, questa, che non giustifica il perché del proliferare di questo fenomeno. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, il terrorismo europeo era legato alle ideologie dei due blocchi, in un certo senso face anch’esso parte delle guerre per procura di quegli anni dal momento che le due superpotenze ‘aiutavano’ i vari gruppi armati. Ed infatti, con la fine della Guerra Fredda anche il terrorismo europeo è scomparso.

Oggi una spiegazione ‘politica’ di questo tipo non si può dare. Non esiste una demarcazione così netta simile a quella tra comunismo e capitalismo, al Nusra, la succursale di al Qaeda in Siria, è allo stesso tempo amica e nemica dei vari sponsor, tra cui anche la coalizione del presidente Obama. Anche la demarcazione sciiti sunniti non funziona, l’Isis decisamente considera gli sciiti suoi nemici, ma lo stesso non si può dire degli altri gruppi armati del fondamentalismo islamico che hanno riconosciuto il Califfato quale punto di riferimento della loro lotta. Boko Haram, al Shaabab, la stessa al Qaeda nel Maghreb (Aqim) o al Qaeda nella Penisola Arabica non accettano questa distinzione.

Sicuramente il risveglio della violenza jihadista dopo la nascita del Califfato, nell’estate del 2014, è frutto dell’effetto di galvanizzazione che eventi straordinari, come appunto l’11 settembre, producono nella nebulosa jihadista. Ma questo fattore non basta a spiegare il proliferare dei gruppi armati del fondamentalismo armato, degli attacchi terroristi ormai quasi settimanali che caratterizzano la crisi attuale. A monte c’è la progressiva destabilizzazione di fette sempre più grandi del mondo, zone popolate principalmente da musulmani. Somalia, Mali, il Sahel, Yemen, Siria ecc.

Burkina Faso, la situazione dopo l'attentato di Al Qaeda a Ouagadougou

Stabilito che l’anarchia politica è l’humus ideale per il jihadismo, fenomeni come lo Stato Islamico, il cui fine ultimo è la creazione di una nazione, sono rarissimi, rappresentano l’eccezione alla regola. La popolarità del  jihadismo in gran parte del mondo musulmano è legata alla legittimazione che questa ideologia offre a gruppi armati dediti principalmente ad attività illegali e criminali: dai sequestri di persona fino al traffico dei rifugiati. E questo è sicuramente il caso della katiba (il gruppo) di Mokhtar Belmokhtar, al quale viene attribuito l’attacco in Burkina Faso. Secondo la stampa i combattenti di al Mourabitoun (le sentinelle) guidati dall’algerino Belmokhtar sono anche responsabili dell’attentato dello scorso novembre nella capitale del Mali, Bamako, all’hotel Radisson Blu.

Belmokhtar, la cui morte è stata annunciata e smentita svariate volte, è un ex mujaheddin, ex membro del Gia algerino e delle sue varie reincarnazioni. Ma de facto è sempre stato un delinquente. Ha contribuito alla fondazione di al Qaeda nel Maghreb con i soldi del contrabbando di sigarette e dei sequestri degli Europei nel Sahel. Mal visto dalla Shura di Aqim, nel 2010 è stato espulso da questa organizzazione. Nel 2013, Associated Press ha trovato una lettera in uno dei nascondigli di Aqim in Mali dove si fa riferimento alla costante l’insubordinazione di Belmokhtar, dedito ad attività criminali per arricchirsi, che ha portato alla sua espulsione.

Domandiamoci a chi fa comodo che nel Mali ed in Burkina Faso si attacchino gli alberghi dove gli uomini d’affari africani ed occidentali pernottano. Domandiamoci anche come mai si tratta di assalti contro i civili disarmati, una metodologia completamente diversa da quella perseguita, ad esempio, in Europa.

Il Burkina Faso è il quarto più grande produttore di oro in Africa. Nell’ottobre del 2014 Blaise Compaoré è stato finalmente estromesso dopo 27 anni al potere. Ciononostante ha tentato, senza successo, il colpo di Stato. Nel novembre del 2015 Roch Marc Christian Kabore è eletto presidente. Subito dopo il Burkina Faso è diventato un simbolo di progresso nella regione, un esempio di consolidamento democratico e pacifica convivenza religiosa.

La comparsa di Belmokhtar nel Burkina Faso e poco prima nel Mali sembra più legata agli interessi delle élite corrotte che stanno perdendo potere in nome di un sistema politico migliore, che alla creazione del Califfato nel Maghbreb.

E’ bene iniziare a distinguere all’interno del jihadismo l’attività puramente criminale con il terrorismo, si tratta infatti di due fenomeni ben distinti.

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