Un paio di considerazioni, urgenti, si impongono alla luce del caso Quarto. Toccano la struttura e il modo di funzionare del Movimento 5 Stelle, ma interessano anche i partiti in generale e, quel che conta di più, il buon funzionamento della democrazia italiana.

I tentativi di infiltrazioni camorristici tra i grillini campani stanno rivelando l’estrema vulnerabilità del loro modello organizzativo. Nessuno, pare di capire, a parte i diretti interessati e protagonisti della vicenda, sindaco, qualche assessore e pochi consiglieri comunali, sembra abbia avuto percezione piena della pericolosità di quello che stava accadendo. Né a Quarto, né a Napoli, né a Roma, né a Milano.

Tutto ciò dimostra una pericolosa fragilità e insufficienza dei controlli interni al Movimento, l’incapacità di monitorare e sventare per tempo i comportamenti criminogeni (sinora isolati) di iscritti, amministratori, eletti.

Con tutte le differenze del caso -e sono tante e corposissime, naturalmente- la vicenda campana richiama, almeno per le carenze di vigilanza, la storia del Partito democratico romano finito in preda a bande politiche attente più agli affari personali che non agli interessi dei cittadini. Con le dovute differenze, ripeto, ma ecco cosa richiama.

Queste due vicende, insieme alle tantissime altre registrate sotto ogni latitudine politica e geografica negli ultimi mesi e anni e che hanno visto coinvolte quasi tutte le forze dell’arco costituzionale, certificano indiscutibilmente il fallimento dei modelli di partito leggeri e liquidi.

Questi “nuovi partiti”, fioriti dalle esperienze drammatiche seguite agli scandali della Tangentopoli degli anni Novanta, avrebbero dovuto, secondo i loro cantori, cancellare in radice la vocazione al malaffare e all’intrallazzo selezionando una classe dirigente preparata e responsabile.

Abbiamo visto invece, salvo qualche eccezione e con il M5S tra le prime, come per la gran parte si siano rivelati strumenti personalistici, comitati d’affari, nuovi corposi soggetti il più delle volte riconducibili ad elefantiaci ed inediti cartelli elettorali dove leader, leaderini, capicorrente, capibastone e clan locali hanno potuto fare il bello e il cattivo tempo. Sia a livello di elaborazione politica che nella gestione interna. Fuori da ogni controllo efficace dei comportamenti individuali e collettivi dell’organizzazione di appartenenza. Nella eleborazione della linea politica come nella selezione della classe dirigente.

Anche la mitica Rete fallisce sotto questo aspetto. Rivelandosi al massimo quello che può essere. Certo uno strumento di grande efficacia nella connessione e comunicazione tra i militanti di uno stesso movimento, ma non certo il Soggetto in grado di garantire tutto il meglio che serve al corretto funzionamento del sistema, ai cittadini onesti e al lavoro di coloro che si candidano a raccogliere la delega democratica.

E siamo al punto cruciale: l’interesse pubblico generale, al di sopra delle divisioni politiche e degli interessi di parte, ad avere partiti strutturati in modo da garantire davvero al loro interno processi decisionali autenticamente democratici. Con iscritti e militanti in grado di far pesare giudizi e controlli nella selezione della classe dirigente. E, all’esterno, sul territorio, la verifica tempestiva e puntuale dei comportamenti quotidiani degli eletti ad ogni livello e in tutte le articolazioni della democrazia rappresentativa.

Quel che è certo, diciamolo, è che così non va e non può continuare ad andare. La destrutturazione dei partiti di massa seguita allo sfaldamento della prima Repubblica è stata certo sacrosanta e giustificata, alla luce degli abusi e delle malversazioni. Ma quello che è seguito dopo, in termini di nuovi modelli di organizzazione politica, di partito, insomma, continua a rivelarsi ogni giorno più inadeguato alle necessità della buona democrazia e delle istituzioni rappresentative.

E anche questo è un fallimento della seconda Repubblica (cosiddetta). Che prima o poi faremmo bene a considerare. Per evitare che le cose peggiorino. Ulteriormente. Irreparabilmente. Allontanando sempre più i cittadini dalla politica. E con essi la speranza di un rinnovamento autentico delle nostre istituzioni.

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