Appalti truccati in cambio di mazzette. E il Teatro Petruzzelli di Bari, ancora una volta, viene travolto dalle polemiche. L’ultimo capitolo – poco edificante – della sua storia vede cinque persone accusate di aver costruito una vera e propria rete che dirottava artatamente gli appalti verso un gruppo di imprenditori selezionatissimi. L’esito delle indagini condotte dal sostituto procuratore Fabio Buquicchio, è sfociato in un’ordinanza di custodia cautelare per cinque persone. Misura resa necessaria perché gli indagati “potrebbero reieterare i reati”. 

A finire agli arresti domiciliari una figura centrale per il teatro: il direttore amministrativo della Fondazione Petruzzelli Vito Longo, in buona sostanza colui che gestiva tutti gli appalti dell’ente. Con lui anche quattro imprenditori: Vito Armenise, titolare dell’azienda che si è aggiudicata il servizio di facchinaggio, Giacomo Delle Noci, titolare dell’azienda di pulizie, e Nicola Losito, ritenuto stretto collaboratore di Franco Mele, arrestato oggi a Roma. Gli episodi risalgono a novembre e dicembre 2015. Secondo l’accusa gli imprenditori si aggiudicavano gli appalti dietro il pagamento di un corrispettivo. Di qui l’accusa di corruzione.

Agli atti ci sono i tre bandi che, secondo il pm, sarebbero stati costruiti ad arte e soltanto pro forma – tanto che alcuni scarseggiavano anche di informazioni – e documenti che svelerebbero anche l’esistenza di un’azienda fantasma necessaria per simulare la partecipazione di altri soggetti alle gare. Ma non è tutto. Perché ad incastrare Longo ci sarebbe soprattutto il video registrato da una telecamera piazzata dagli agenti della Digos nel suo ufficio e che mostrerebbe, con ogni evidenza, la consegna della mazzetta. Il lavoro degli inquirenti è ancora in corso perché il sospetto è che il meccanismo di affidamento ad imprenditori “amici” sia perpetrato anche in altri settori.

L’indagine che ha portato agli arresti è una costola dell’inchiesta madre sull’affidamento del servizio luci, avviata dopo un esposto anonimo dalla pm Pontassuglia – ora alla Dda – e continuata dal pubblico ministero Claudio Pinto. Proprio mentre il gip Gianluca Anglana firmava le ordinanze di custodia cautelare, nelle aule del Tribunale aveva inizio l’udienza preliminare del processo che vede imputato proprio Franco Mele, il quinto imprenditore bloccato nella capitale all’indomani degli altri arresti. L’ex capo reparto tecnico “Luci e fonica” del teatro Petruzzelli, per anni – secondo l’accusa – avrebbe aggirato le leggi sulla trasparenza e sul conflitto d’interessi affidando le gare alla “Crescendo Sistemi srl”, azienda della quale la moglie è rappresentante legale e lui socio al 90%.

Sulla scrivania dei magistrati baresi, non ci sono solo i dati raccolti dagli investigatori: il 21 dicembre scorso è arrivato un corposo faldone portato personalmente dall’ex collega dell’Antimafia e attuale presidente della Fondazione, Gianrico Carofiglio. Al procuratore capo di Bari, Giuseppe Volpe, Carofiglio ha consegnato documenti, fatture e testimonianze degli imprenditori da sempre esclusi dal giro Petruzzelli, che mostrerebbero con evidenza la stipula di contratti in modo poco trasparente. L’ex pm all’indomani dell’avviso di garanzia indirizzato a Mele aveva voluto avviare una indagine interna, parallela a quella dei magistrati. L’obiettivo era quello di prendere provvedimenti disciplinari – lo stesso Mele era stato allontanato dalla Fondazione il 31 dicembre 2015 – ma, nei fatti, è divenuta una vera e propria inchiesta recepita in toto dalla Procura e messa agli atti delle indagini.

Dal 1991 non c’è pace per il simbolo della cultura barese. La prima inchiesta che lo riguarda fu proprio all’indomani del rogo che lo distrusse internamente. L’allora gestore Ferdinando Pinto, poi assolto, fu accusato di essere il responsabile dell’incendio. Il teatro rimase uno scheletro annerito per 18 lunghissimi anni caratterizzati da un lungo braccio di ferro con la famiglia proprietaria.

A ottobre del 2009, il ritorno alla vita. Ma anche alle polemiche. Ad attirare l’attenzione sulla gestione dei fondi pubblici assegnati al teatro è la Corte dei Conti, nel 2012. Il bilancio del 2010 dell’ente si chiuse con un disavanzo da capogiro: un milione e 864mila euro. Persino più grave dell’anno precedente. Il motivo? Per i magistrati contabili era semplice: le procedure di assunzione del personale erano state “allegre” e per nulla trasparenti, e le strategie di spesa nell’acquisizione di servizi e beni dell’attività artistica erano sbagliate. Al capezzale della Fondazione arriva il commissario straordinario Carlo Fuortes, inviato dal Ministero. Doveva rimanerci pochi mesi, ma alla fine resta due anni. Invece che migliorare la situazione peggiora: conti in caduta libera, nuovo deficit da 960.244 euro nel 2013. A farne le spese è la programmazione che viene falciata di netto.

Come non bastasse il teatro viene travolto dalle polemiche politiche. Nell’occhio del ciclone finisce la presunta parentopoli nelle assunzioni del personale. Il centrodestra cittadino sciorina nomi e cognomi di coloro che per parentela o per vicinanza politica e sindacale hanno avuto un posto in paradiso. Oggi l’ente lotta ancora con i problemi economici: di recente il Comune, la Città Metropolitana e la Regione hanno dovuto versare 300mila euro ciascuno per consentire il pareggio finanziario necessario per agganciare il treno dei finanziamenti concessi dalla legge Bray.
Il copione del futuro è tutto da scrivere, la speranza della comunità è che i colpi di scena siano finiti.

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