I dipendenti del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari dell’Eur (Roma), quelli disposti a parlare, ci tengono a ribadirlo. “E’ grave generalizzare, non siamo tutti fannulloni, se qualcuno sbaglia va punito anche con il licenziamento”. I giornali pochi giorni fa li hanno battezzati i furbetti del cartellino, i nove impiegati del museo sospesi dal Mibact dopo l’indagine del nucleo operativo dei Carabinieri per truffa. Si facevano timbrare il badge da altri colleghi e si assentavano dal posto di lavoro per andare a giocare alla Snai o recarsi nel negozio di ortofrutta di famiglia a dare una mano. Sono state le telecamere nascoste ad incastrarli. “C’è chi ha dato il sangue, ha la passione per questo lavoro, io sono in radioterapia ma vengo lo stesso, non fate di tutta un’erba un fascio, chi è ligio al dovere non ha nulla da temere” racconta un altro dipendente. Sono quaranta in totale gli impiegati del museo, ma all’interno di una vasto spazio museale incontriamo solo un addetto alla sicurezza. “E’ frequentato soprattutto da scolaresche, scrivete cazzate, questo museo è aperto dal martedì alla domenica per undici ore, non è vero che restano chiusi per questi episodi” aggiunge il custode. Non riusciamo a metterci in contatto con la direttrice del museo Maura Picciau anche lei indagata per omesso controllo e – come scritto da Il Messaggero – nell’occhio del ciclone per il suo doppio incarico. Cagliaritana, classe ’65, oltre al ruolo dirigenziale a Roma, risulta nell’organigramma del segretariato regionale sardo. “Veniva quando doveva venire, vive in Sardegna, si sposta, il doppio incarico non se l’è inventato mica lei, ma è il ministero ad assegnargli questi ruoli” replica un dipendente in biglietteria. Manco a farlo a posto l’Eur è stato di recente uno dei set del film ‘Quo Vado?’ di Checco Zalone. Nel palazzo dell’Archivio di Stato si sono immortalate le scene esilaranti tra Zalone, impiegato alla Provincia, e la perfida dirigente ministeriale Sironi. “E’ una storia di malcostume che si ripete, un’onta per il pubblico impiego e un danno per tutti noi, c’è ancora il mito del il posto fisso visto come una rendita purtroppo, ma le nuove generazioni sono diverse” dice la gente in strada. “Gli impiegati sono fortunati, magari ad averlo io il posto fisso, invece sono costretto a lavorare a 70 anni per non avere una pensione da fame” è quanto afferma un barbiere nelle vicinanze del museo. La colpa delle malefatte, secondo gli intervistati, deve ricadere però anche sui capi. “Il manager ha il compito di controllare, ma spesso hanno diversi incarichi e non fanno il loro dovere, va punita anche la dirigente”. “Vizi da prima Repubblica, ma i tempi sono cambiati, oggi il posto fisso è una chimera,è anche monotono, se ci fosse una reale mobilità nel mercato non si sognerebbe nemmeno” chiosano gli intervistati.

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