Quando all’inizio dell’anno l’Arabia Saudita ha messo a morte in un solo giorno 47 prigionieri, l’esecuzione dell’autorevole imam sciita Nimr al-Nimr – ispiratore delle manifestazioni che dal 2011 hanno luogo nella Provincia orientale del regno – ha scatenato le proteste dell’Iran.

Ambasciata-Teheran-675

In molti, anche su questo blog, hanno notato l’incongruenza di questa reazione (persino, forse, non conoscendo la posizione dell’imam al-Nimr sul conflitto siriano, non proprio allineata a quella di Teheran). Un commentatore ha efficacemente riassunto la situazione col detto popolare “il bue dice cornuto all’asino”.

In effetti, l’idea che l’Iran condanni un’esecuzione in Arabia Saudita è surreale. Se c’è una cosa che unisce Arabia Saudita e Iran è, infatti, proprio il sistematico uso della pena di morte.

Nel 2015 l’Arabia Saudita ha fatto registrare il più alto numero di esecuzioni degli ultimi 20 anni. Se ai dati dello scorso anno aggiungiamo le 47 esecuzioni del 2 gennaio, siamo a oltre 200Ha fatto scalpore, qualche giorno fa, la rivelazione che l’Arabia Saudita fosse assente dai 20 paesi-chiave verso cui la Gran Bretagna avrebbe dovuto indirizzare la sua politica abolizionista nel quinquennio 2011-2016. Del resto, i nostri “amici” vanno sempre difesi.

In Iran, nei primi 11 mesi del 2015, le esecuzioni sono state almeno 830. Vi è il concreto rischio che, con le successive decine di impiccagioni, il totale sia arrivato intorno a 1000. E il 2016 è iniziato nel segno della continuità.

L’Iran, inoltre, porta avanti (quasi unico nel mondo) la spregevole e illegale pratica di mettere a morte minorenni al momento del reato. L’anno scorso le esecuzioni di rei minorenni sono state almeno quattro, tra cui quella di Fatemeh Salbehi, impiccata il 13 ottobre, colpevole di aver ucciso il marito a 17 anni, un anno dopo che era stata costretta a sposarlo. Specularmente a quanto accaduto in Arabia Saudita, in Iran sono stati messi a morte (anche qui, per “terrorismo”) anche attivisti ahwazi, una minoranza araba e sunnita.

Tornando all’Arabia Saudita, voglio segnalare un’iniziativa riguardante il poeta di origine palestinese Ashraf Fayadh, condannato a morte due mesi fa per i “reati” di apostasia e promozione dell’ateismo.

Il Festival internazionale di letteratura di Berlino ha lanciato un appello per chiedere l’annullamento della condanna e la scarcerazione di Ashraf Fayadh.  Il 14 gennaio in tutto il mondo si svolgeranno reading poetici e incontri in suo sostegno, Italia compresa. A Roma l’appuntamento è organizzato dalla Libreria Griot presso lo Spazio Formiche di vetro, a Trastevere, in via dei Vascellari 40, con inizio alle 18.30.

Articolo Precedente

Vicenza: caro sindaco, il parcheggio per disabili non è un privilegio ma una necessità

next
Articolo Successivo

Roma: sulla questione rom Tronca cambia tutto per non cambiare niente

next