Giovani, precari e spesso soli. È questo l’identikit del giornalista minacciato in Italia, figura a cui da stasera Raiuno dedica la serie “Cose nostre” (protagonisti delle puntate Arnaldo Capezzuto, blogger di ilfatto quotidiano.it, Michele Albanese de “Il Quotidiano del Sud”, Amalia De Simone di Corriere.it, Pino Maniaci di Telejato e Giovanni Tizian dell’Espresso).

Guardando i numeri dell’osservatorio Ossigeno per l’informazione sembra di leggere un bollettino di guerra: 46 aggressioni fisiche, 104 avvertimenti, 17 danneggiamenti, 123 denunce e azioni legali in un anno. Solo nel 2015, sono 297 i cronisti minacciati.

Tra loro c’è Nello Trocchia, giornalista e scrittore, collaboratore del Fatto Quotidiano. Autore di libri e inchieste sulla camorra. «A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e poi mi faccio arrestare», dice il 10 giugno del 2015, intercettato dai carabinieri di Napoli, il fratello di un boss riferendosi a Trocchia durante un colloquio in carcere con il camorrista. A Trocchia non vengono perdonate le sue indagini giornalistiche, pubblicate su ilfattoquotidiano.it, che hanno fatto scattare l’inchiesta dei carabinieri che ha portato alla condanna del soggetto e al sequestro dei beni.

Nonostante le minacce siano concrete («sappiamo dove sta», sottolinea l’intercettato), non sono state ritenute sufficienti per assegnare una scorta al giornalista. Dopo un appello on line lanciato da alcuni colleghi – sottoscritto da più di 25 mila persone -, nei confronti del cronista è stata disposta una forma di protezione: una vigilanza generica. Tradotto: una pattuglia passa nei dintorni della sua abitazione, ma nessuno si preoccupa dei suoi spostamenti quotidiani.

La “fortuna” di Trocchia è di lavorare per testate nazionali e, almeno, la sua storia è venuta allo scoperto. A guardare ciò che invece avviene nei giornali di provincia italiani viene lo sconforto. Decine di cronisti di razza sono costantemente minacciati nell’assoluta indifferenza.

Alessia Candito è una redattrice del Corriere della Calabria. Copre la cronaca giudiziaria a Reggio, scrivendo quotidianamente di ‘ndrine e colletti bianchi. Negli ultimi mesi qualcuno ha letto con maggiore attenzione i suoi articoli e ha deciso che forse era meglio mandare qualche avvertimento alla cronista. Il primo a farsi avanti è stato un ex pentito, Antonio Zavettieri, che secondo gli inquirenti è rientrato in contatto con la sua vecchia cosca e per questo si è reso irreperibile. Non si presenta più neanche in tribunale a testimoniare in un processo eccellente. Alessia racconta questa storia e dopo pochi giorni riceve pesanti email intimidatorie dall’ex collaboratore di giustizia.

Ma Zavettieri non è l’unico a non gradire i pezzi di Candito. Passa poco tempo e arrivano altre minacce. Questa volta ad “attenzionare” il lavoro della giornalisti sono dei giovani di Archi, il quartiere della ‘ndrangheta che conta. La colpa di Alessia? Aver descritto le scorribande notturne di un gruppo di giovani che si diverte a vivacizzare la movida reggina a suo di spranghe, pestaggi e terrore. Quanto basta per convincere la Questura a far scattare il programma minimo di protezione per la cronista: una vigilanza notturna.

Gennaro Tedesco lavora per il Fatto del Gargano, in Puglia. Vive a San Giovanni Rotondo e scrive di politica, di clientelismo, di rifiuti e di cattiva gestione della cosa pubblica. Argomenti che qualcuno preferirebbe non leggere su un giornale, soprattutto in un territorio così delicato, con alcuni Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, come Monte Sant’Angelo. E chi non gradisce lancia segnali chiarissimi al giornalista: nel 2011 gli incendiano la macchina, nel 2014 danno fuoco a un ettaro di uliveti di sua proprietà e a settembre di quest’anno un’altra auto viene divorata dalle fiamme. «Io mi occupo del Gargano. Non saprei individuare un articolo particolare che potrebbe avere infastidito qualcuno. Secondo me, è proprio l’idea di fare informazione che infastidisce», racconta Tedesco.

Quelli che reagiscono peggio «sono i politici locali», dice il cronista. «Poco prima dell’ultimo attentato c’era attorno a me un clima di attacco e denigrazione. Più volte mi son sentito dire “giornalaio, pennivendolo, sciacallo”». Nonostante i numerosi attentati, Tedesco non gode di alcuna protezione. Dalla sua parte, però, si sono schierati pubblicamente l’Ordine dei giornalisti pugliese, il governatore Michele Emiliano e il cronista Sandro Ruotolo che son riusciti ad accendere i riflettori sul caso. Una sorta di premio di consolazione che in questi casi vale molto.

E se dal tacco d’Italia ci spostiamo in Lucania la situazione non cambia di molto. In quest’altro pezzo di Sud c’è un giornale on line, Basilicata24, che dal novembre 2013 al giugno 2014 ha subito una lunga serie di intimidazioni: lettere anonime, minacce in strada, danneggiamenti, croci incise sulle auto dei redattori. Merito delle inchieste su smaltimento di rifiuti, infiltrazioni malavitose nella pubblica amministrazione e sprechi di denaro pubblico. Articoli che spesso hanno avuto «esiti giudiziari con indagini della magistratura e arresti», racconta la direttrice Giusi Cavallo, che insieme ai suoi giornalisti ha più volte denunciato le minacce subite alla Procura di Potenza. Con risultati poco lusinghieri: nessuna protezione nei confronti dei cronisti e sospetti di simulazione di reato.

di Rocco Vazzana

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