Il 7 gennaio 2015 verso le 11,35, è accaduto qualcosa di particolare. Qualcosa che si poteva anche immaginare, ma che nessuno aveva realmente mai preso in considerazione. Nel 2006 quando Charlie aveva pubblicato le caricature di Maometto, nessuno credeva seriamente che ci sarebbe stata una risposta violenta. Era impensabile che nel XXI secolo, in Francia, una religione potesse uccidere dei giornalisti. La verità è che allora erano in molti a sperare che un giorno qualcuno ci rimettesse al nostro posto. Sì, molti speravano che ci facessimo ammazzare. AMMA-ZZARE. Tra loro i fanatici istupiditi dal Corano, ma anche i baciapile di altre religioni che ci auguravano l’inferno nel quale credevano e che avevamo meritato osando ridere della religione. Senza dimenticare la palude di intellettuali disincantati, di cronisti insipidi e di giornalisti gelosi che stanno bene attenti a dove mettono i piedi lungo il sentiero della loro carriera evitando scrupolosamente di dire qualcosa di sincero. I creatori di Charlie – Cavanna, Choron, Gébé, Cabu, Wolinski, Willem – erano degli emarginati, ma con un talento benedetto dagli dei.

Proprio loro che non credevano in Dio. Di tutto se ne fottevano. Fottersene di tutto. Quanto meno fare il massimo possibile per fottersene. Questo ha dovuto fare Charlie nel corso degli anni. A Charlie abbiamo pensato spesso alla morte. Anzitutto alla morte economica. Quando il Charlie Hebdo del primo periodo è andato al Creatore, nel 1982, un quotidiano aveva titolato “Crepa Charlie!”. La sua riapparizione nel 1992 fu quasi contro natura. Un giornale andato al Creatore dieci anni prima non aveva il diritto di tornare in vita. Ci furono poi innumerevoli cattolici fanatici che desideravano la nostra resa economica. Malgrado il loro accanimento e dozzine di processi per i disegni di Gesù Bambino o della Santa Vergine, il giornale, come l’anatra, ancora corre. I primi numeri di Charlie Hebdo ai quali Charb, Luz, Tignous, Honoré, Bernard, Cabu e io abbiamo dato il nostro contributo erano angoscianti in quanto non sapevamo se il giornale sarebbe sopravvissuto. Quando, dopo due anni di travagliata esistenza, è uscito il numero 100 non credevamo ai nostri occhi. Era ancora vivo.

Malgrado le misure di sicurezza adottate dalla polizia dopo l’incendio del 2011, il gusto per la vita ci faceva dimenticare l’angoscia della morte. Un mese prima del 7 gennaio, ho chiesto a Charb se questa protezione avesse ancora un senso. Le storie delle caricature erano una faccenda passata, ce le eravamo messe alle spalle. Ma un credente, soprattutto un fanatico, non dimentica mai l’affronto fatto alla sua fede in quanto ha l’Eternità dietro e davanti a lui. Questo avevamo dimenticato noi di Charlie. È stata l’Eternità a colpirci, come un fulmine, quel 7 gennaio.

Quella mattina dopo una sessantina di colpi d’arma da fuoco esplosi nel giro di tre minuti nella sala riunioni della redazione, un profondo silenzio avvolse la scena. Con i piedi tirai a me la sedia sulla quale cinque minuti prima era seduto Charb, per poter sollevare le gambe come mi avevano insegnato al corso di pronto soccorso. Nicolino era il solo a gemere nel silenzio interminabile. E quando finalmente un pompiere mi aiutò ad alzarmi, dopo aver scavalcato Charb disteso ai miei piedi, proibii a me stesso di voltarmi verso la stanza per non vedere i morti di Charlie. Dopo il 7 gennaio ci siamo spesso considerati degli zombi. In questo periodo alcune anime delicate ebbero l’eleganza di affermare che, in ogni caso, vista la situazione finanziaria del giornale nel 2014, la morte di Charlie era programmata.

Secondo questi rifiuti umani, Charlie senza il 7 gennaio avrebbe avuto al massimo qualche mese di vita. In parole povere, il 7 gennaio era stata la nostra occasione in quanto la Francia intera si era messa a leggere Charlie. Una volta di più era chiaro che l’esistenza di Charlie era una anomalia. Persino in questi momenti da incubo. Ci chiedono: “Come potete fare il giornale dopo tutto quello che è successo?”. Come? È tutto quello che abbiamo vissuto in 23 anni che ci ha dato la rabbia. Non sono certo due coglioncelli incappucciati che possono mandare a farsi fottere il lavoro di una vita e tutti gli straordinari momenti vissuti insieme a coloro che sono morti. Non saranno loro a uccidere Charlie. Erano sufficientemente forti da darci l’energia di risollevarci? Avete in mano la risposta. Le convinzioni degli atei e dei laici possono spostare le montagne più della fede dei credenti.

Laurent Sourisseau detto Riss
Direttore e vignettista di Charlie Hebdo

Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Da Il Fatto Quotidiano del 06/01/2016

Articolo Precedente

Charlie Hebdo, un anno fa l’attacco alla libertà di opinione. Viaggio nella redazione che adesso nessuno vuole

next
Articolo Successivo

J’étais Charlie

next