In occasione del decimo l’anniversario della scomparsa di Paolo Sylos Labini, pubblichiamo nel nostro quindicinale un ricordo del più caro dei discepoli dell’illustre economista, Alessandro Roncaglia. Sylos fece parte del Comitato di presidenza della nostra Fondazione e ora ne fa parte Roncaglia. Teniamo molto a quel filo di pensiero che da Salvemini e da Ernesto Rossi arriva appunto a Sylos e a Roncaglia. È il nostro. Certo, un pensiero liberalsocialista ormai in un cono d’ombra, senza rappresentanza politica. Forse proprio per questo il paese giace in rovina in mano di demagoghi incapaci e corrotti. Paolo se ne è andato dieci anni fa, oggi sarebbe ancora più sconsolato, ma – ne sono sicuro – ancora combatterebbe contro il malgoverno e la corruttela. Perché tutti noi siamo quelli del “Non Mollare”, mai.

Il primo significativo incontro di “Critica liberale” con Sylos fu quando organizzammo il primo convegno a Milano sulla figura di Ernesto Rossi. E non poteva presiederlo che lui, che di Rossi era stato discepolo attentissimo. Il secondo incontro fu quando accettò di far suo il Manifesto laico alla fine degli anni ’90. Infine, poco dopo, nel paesaggio disastrato della politica italiana dominata dal berlusconismo e dall’inciucismo, tutti sentimmo che la nostra concezione della politica imponeva di scendere in campo, di mobilitare la società civile tradita da una nomenclatura di sinistra connivente, se non complice, di quella banda di malviventi che aveva preso il potere.

Adesso è molto facile dare un giudizio severo sul berlusconismo, ma all’epoca il fatto che il potere fosse tutto nelle mani di un partito fondato da un frodatore dello Stato, da un mafioso e da un corruttore di giudici e ad avvocati non scandalizzava che relativamente poche persone. Nel frattempo gli ex comunisti o passavano armi e bagagli nel campo della destra berlusconiana e fascista o si gingillavano nel divorare le crostate di Gianni Letta. Sylos non poteva starci e nel vuoto più assoluto fece un manifesto prontamente firmato soltanto da grossi personaggi del mondo azionista e liberale. E a rispondergli prontamente fu un contromanifesto sponsorizzato da Giuliano Ferrara e sottoscritto , guarda caso, quasi esclusivamente da ex comunisti entrati nella corte di Arcore. Non è qui il luogo, ma bisognerebbe riflettere a lungo sul perché i primi a insorgere contro la destra berlusconian-fascista furono proprio esponenti del pensiero liberalsocialista e liberale, mentre troppe personalità del pensiero marxista e della politica comunista e socialista viaggiavano tranquillamente dai “Quaderni piacentini” e da “Rinascita” a Dell’Utri e a Reagan e a Gasparri.

Sulla scia di quel manifesto di Sylos fu proprio “Critica liberale” a sollecitare Paolo di dare forma organizzativa alla protesta civile. Rimanere immobili significava essere conniventi. Da allora ci chiamarono tutti “demonizzatori”, solo perché dicevamo “pane al pane” e “diavolo al diavolo”. Erano i tempi dei trionfi del “cerchiobottismo”, malattia senile del giornalismo che cela il proprio servilismo verso il potere più impresentabile con una pretesa di obiettività. Nacque così “Opposizione civile”. I tempi erano più che maturi. Imperversavano le leggi ad personam, il duopolio televisivo in una sola mano, i quotidiani conflitti di interesse. Dopo qualche mese vennero i Girotondi e “Libertà e giustizia”, che con sensibilità differenti concorsero a dare voce a parti consistenti della società civile di fronte all’inesistente opposizione politica. Furono anni di quotidiana lotta senza risorse contro la menzogna, le coperture, l’indifferenza. E Paolo Sylos Labini, da vero maestro, fu sempre in prima fila.

Immagine n. 37 x il fatto

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