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Il dialogo tra la compagna di classe e la madre del piccolo N., alunno autistico di 12 anni non ha alcun significato per molti.

Quelle poche battute non rappresentano una prova scientifica e nemmeno un indizio di colpevolezza nei confronti della scuola che accoglie N. e la sua compagna.

Da sole le parole ci raccontano di un bambino che non frequenta la classe alla quale è destinato e nient’altro.

Se si ha la pazienza di ascoltare i genitori di N. e della trascorsa esperienza felice nella scuola primaria con il figlio disabile impegnato come presentatore in una recita di fine anno si ha la sensazione che oggi qualcosa non va come dovrebbe andare nella scuola media Fucini- Roncalli di Gragnano (Na) .

Il racconto di un bambino “segregato” per ore dinanzi ad un pc che manda in continuazione le stesse immagini di un film e le richieste, fin troppo garbate ma mai rassegnate, della famiglia di incontrare il dirigente e gli insegnanti di loro figlio trasmettono a chi le ascolta un senso di nausea e di rabbia.

Tutto il resto dagli esposti al direttore dell’ufficio scolastico regionale della Campania o quello alla polizia di stato rappresentano un rituale che decine di migliaia di famiglie italiane disperate compiono ormai da anni.

Se si ha adesso la pazienza di rileggere il testo di quei sintetici sms le parole “ma in classe non viene” diventano macigni ingombranti, troppo ingombranti per un Paese che ha messo al bando nel 1977 le classi differenziali e che ha un governo che parla di buona scuola ai quattro venti.

Quella buona scuola il piccolo N. non sa proprio cosa sia.

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