Ha iniziato selezionando le migliori startup italiane per portarle in Silicon Valley, oggi le cerca in tutta Europa e le fa incontrare alle grandi aziende in modo che possano sprigionare il loro potenziale di innovazione. È questo l’impegno di Alberto Onetti (nella foto l’ultimo a destra), professore di Economia all’università dell’Insubria di Varese.

Un lavoro mirato alla crescita del mondo delle startup iniziato nel 2009, quando è diventato presidente della Fondazione Mind the bridge, organizzazione no profit creata da Marco Marinucci con l’obiettivo di selezionare le giovani imprese e portarle a contatto con l’ecosistema dell’innovazione. “Vogliamo trasmettere alle startup l’atmosfera della Silicon Valley e la cultura di impresa che si respira là – spiega -. Ho perso il conto, ma credo che qualche centinaio di italiani sia passato da San Francisco grazie ai nostri programmi. Quasi tutti sono tornati e ora rappresentano degli agenti positivi di cambiamento nel nostro Paese”.

“In Italia e in Europa mancano i campioni delle tecnologie e le grandi imprese. Ovvero chi ha portafogli importanti”

Un osservatorio privilegiato il suo, che gli permette di affermare che la differenza tra l’Italia e la California non sta nella qualità delle idee. Nel Belpaese, ma più in generale in Europa, “mancano i campioni delle tecnologie e le grandi imprese. Ovvero chi ha portafogli importanti”. Come ad esempio Google e Facebook, realtà per le quali è normale investire nelle startup. Non è però soltanto una questione di liquidità: “Nel vecchio continente non c’è l’attitudine a comprare aziende come via per incorporare innovazione”.

È per questo che quando nel 2014 la Commissione Europea lo ha scelto per guidare Startup Europe Partnership, piattaforma nata con l’obiettivo di favorire la crescita di un ecosistema continentale, ha deciso di cercare realtà innovative in tutta Europa per metterle a confronto con le grandi industrie. “Le startup sono un motore di innovazione potentissimo, ma molto piccolo: negli Stati Uniti generano il 3% dell’occupazione, da noi lo zero virgola – afferma- ma se vogliamo che questo potenziale abbia impatto, dobbiamo applicarlo a qualcosa di rilevante quanto a dimensioni”. E qui subentrano le grandi imprese, dotate anche della capacità di investimento. “Sono realtà che non riescono più ad innovare ed hanno un drammatico bisogno di farlo. E da sole non riescono”. Alcune, prosegue, “stanno lavorando concretamente, aprendo i loro canali di procurement (approvvigionamento), facendo investimenti o anche semplicemente prendendo indicazioni per sviluppare nuovi prodotti e servizi – spiega Onetti -. Questo dialogo non è semplice, perché si tratta di mondi molto lontani tra loro, ma è fondamentale”.

“Le grandi imprese sono realtà che non riescono più ad innovare ed hanno un drammatico bisogno di farlo. E da sole non riescono”

Così come è importante la legislazione. Nel dicembre 2012 con il decreto Crescita 2.0 sono state introdotte alcune norme per favorire la nascita di imprese innovative, non ultima quella sull’equity crowdfunding. Pochi mesi fa il compianto Enrico Gasperini, fondatore dell’incubatore Digital Magics, ha chiesto al governo di favorire l’investimento in startup da parte delle famiglie italiane, ad esempio riducendo la ritenuta sui dividendi.

“Certo non guasta – commenta Onetti – anche se credo che il problema sia innanzitutto culturale: il risparmio in Italia è consistente, ma per tradizione non si rivolge all’innovazione“. E quindi, se dovesse avanzare una proposta, conclude, “chiederei semplificazione, non incentivi. Il Ministero dello sviluppo economico sta andando in questa direzione, ma la cornice istituzionale e regolamentare in Italia resta soffocante e non premia chi prova a fare”.

(immagini tratte dalla pagina Facebook di Mind The Bridge)

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