Strutture molto simili, numeri quasi identici, ma una sorte assolutamente opposta. È la strano destino dei punti nascita in Sicilia, tagliati con un rapido tratto di penna per ordine del ministero della Salute, ma in qualche caso risparmiati in extremis senza alcuna ragione apparente. Negli stessi giorni in cui il dicastero di viale Ribotta ha inviato gli ispettori a Brescia e Torino (dove nelle ultime ore cinque donne sono morte in sala parto), una polemica squisitamente politica investe il ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

Il motivo? Il caso di alcuni punti nascita che in Sicilia hanno chiuso i battenti dal primo gennaio del 2016. Un epilogo annunciato già un anno e mezzo fa, quando il ministero aveva ordinato alla Regione Siciliana di porre fine all’esistenza delle strutture che effettuavano meno di 500 parti all’anno. L’ex assessore alla Sanità Lucia Borsellino aveva quindi stilato un elenco con sedici ospedali dotati di ginecologia che però non superavano la soglia minima indicata da Roma. Alcune di quelle strutture hanno subito chiuso i battenti, altre sono state salvate in via preventiva, mentre a sei punti nascita è stato concesso di rimanere in attività, ma solo fino al 31 dicembre del 2015: a quel punto il ministero avrebbe dovuto decretare la sospensione del servizio. Cosa che è effettivamente accaduta per i centri di Petralia Sottana, in provincia di Palermo, di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, e dell’isola di Lipari. A sorpresa, però, il ministero ha deciso di risparmiare, almeno per il momento, i punti nascita di Licata, in provincia di Agrigento, e di Bronte, nel catanese. Ed è questa la miccia che ha fatto detonare la polemica.

“Il ministro Lorenzin, evidentemente, decide di chiudere i punti nascita seguendo motivi più politici che scientifici, ma noi non possiamo permettere che la salute sia considerata un privilegio da distribuire con il manuale Cencelli”, attacca la deputata del Pd Magda Culotta, tra i più strenui difensori del punto nascita di Petralia Sottana, fondamentale per tutta la comunità delle Madonie, mal collegata con gli altri ospedali. Dello stesso avviso il segretario palermitano del Pd Carmelo Miceli che invece parla di “iniqua differenza di trattamento figlia di possibili logiche campanilistiche e di appartenenza”. Il riferimento è proprio per i punti nascita che Lorenzin ha deciso di risparmiare: quelli, appunto, di Bronte e Licata, che casualmente sono anche feudi elettorali del Nuovo Centrodestra, lo stesso partito del ministro della Salute.

La città di Bronte, cinquantamila abitanti e 260 parti nel 2014, è la storica roccaforte di Pino Firrarello, notabile catanese della Dc, per un ventennio senatore di Forza Italia, del Pdl, e alla fine sostenitore del Nuovo Centrodestra. Un potere ancora saldissimo, dato che l’ex senatore è il suocero di Giuseppe Castiglione, luogotenente di Angelino Alfano in Sicilia, sottosegretario all’Agricoltura, coinvolto nell’inchiesta sul centro richiedenti asilo di Mineo, altra importantissima enclave elettorale del Nuovo Centrodestra. È per questo che è rimasto aperto il punto nascita di Bronte? Perché ha trovato nella famiglia Castiglione – Firrarello, grandi elettori Ncd, un validissimo sponsor capace di far breccia nelle decisioni operate dal ministero? Di certo c’è che la parlamentare dem Culotta (che a Roma fa parte della stessa maggioranza di governo della Lorenzin) ha annunciato di voler portare il caso Bronte in Parlamento, mentre il quotidiano livesicilia.it parla di “frequenti visite romane” di alcuni big Ncd per salvare il punto nascita in provincia di Catania.

Stessa antifona a Licata, l’altra struttura graziata dal ministro Lorenzin, che essendo in provincia di Agrigento è al centro della zona d’influenza di Alfano. “Una battaglia vinta”, la definiva il 31 dicembre scorso Vincenzo Fontana, deputato regionale del Ncd e vicepresidente della commissione Sanità in parlamento Regionale. Autore poi di una specie di confessione: “Grazie all’impegno e al lavoro del ministro Alfano e del ministro Lorenzin, con i quali – diceva – sono stato costantemente in contatto ed informato sull’evoluzione dell’iter”. Come dire che per salvare la ginecologia a Licata sono intervenuti direttamente i titolari del Viminale e della Salute: due ministri per una città da 38 mila abitanti e 400 parti nel 2014.

Tutto, pur di salvare il punto nascita di casa propria, e quindi ottenere il riconoscimento elettorale di infermieri, medici, cittadini. E del resto una delle strutture salvate già in fase preliminare, nonostante non superasse il limite di 500 parti, era quella di Cefalù, splendida cittadina balneare in cui per dieci anni la poltrona di sindaco è stata occupata da Simona Vicari, oggi sottosegretaria allo Sviluppo Economico, anche lei, manco a dirlo, fedelissima esponente del Nuovo Centrodestra. Un partito che, dopo il business dell’accoglienza, spunta in controluce anche nel delicatissimo domino della sanità siciliana.

Riceviamo e pubblichiamo

Egregio direttore, oltre ogni fantasiosa ricostruzione, la questione dei punti nascita in Sicilia vive di fatti: 1)e’ la Regione che determina la rete ospedaliera, anche dei punti nascita; 2) le richieste di deroga vengono esaminati da un organismo tecnico, il Comitato Percorso Nascita Nazionale, che sulla base di parametri precisi e non discrezionali ha redatto un documento che spiega le ragioni lì dove sono state concesse deroghe, comunque subordinate all’adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza. Lo alleghiamo per contribuire con qualche notizia alla ricostruzione di quanto sta accadendo in questi giorni in Sicilia, insieme alla lettera che il ministro Lorenzin ha trasmesso in risposta ai sindaci che chiedono di rivedere la decisione sul punto nascita di Petralia Sottana, la cui chiusura non è determinata da una decisione politica ma dalle inadempienza in tema di sicurezza per donne e bambini.

La replica dell’autore

Ringraziamo il ministero della Sanità per la precisazione, limitandoci a ricordare che i primi a parlare pubblicamente di decisioni “più politiche che scientifiche”, operate seguendo il “manuale Cencelli”, a proposito della chiusura dei punti nascita in Sicilia sono stati Magda Culotta e Carmelo Miceli, rispettivamente deputata nazionale e segretario palermitano del Pd, partito che sostiene lo stesso governo di cui fa parte il ministro Lorenzin. Come se non bastasse, Vincenzo Fontana, deputato siciliano di Ncd (il medesimo partito del ministro) e vicepresidente della commissione Sanità all’Ars (che appunto analizza ogni modifica della rete ospedaliera operata dal competente assessore regionale), nel festeggiare il salvataggio del punto nascita di Licata, non ringraziava i vertici regionali, o il comitato percorso nascite nazionale, ma al contrario il ministro Alfano e lo stesso ministro Lorenzin, con i quali – raccontava – di essere stato “costantemente in contatto ed informato dell’evoluzione dell’iter”. Nel nostro articolo dunque non c’è alcuna “fantasiosa ricostruzione”, ma al contrario il resoconto fedele di una polemica, nata dalle dichiarazioni dettagliate di esponenti politici che di certo non possono essere indicati come oppositori del ministro. 

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