Addio ai consigli di amministrazione: le oltre 7.700 aziende partecipate da Stato ed enti locali, comprese Anas, Consip e Invitalia ma escluse quelle quotate, avranno solo un amministratore unico. A prevederlo, secondo quanto riporta Repubblica, è uno dei più attesi decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione la cui “cornice” legislativa è diventata legge lo scorso agosto: quello, appunto, che dovrebbe sfoltire la “giungla” – copyright Carlo Cottarelli – delle società che fanno capo a enti pubblici. Un terzo delle quali è in rosso. Tra le altre novità c’è poi anche il fatto che potranno ufficialmente fallire (oggi la normativa non è chiara su questo punto) e che quelle che per tre anni non depositano i bilanci saranno cancellate dal registro delle imprese. Tutte le amministrazioni dovranno comunque fare ogni anno un censimento delle loro partecipazioni e presentare un piano di razionalizzazione.

Saranno inoltre fuse o soppresse, come prevede la delega varata la scorsa estate, le aziende prive di dipendenti, quelle in perdita per quattro dei cinque esercizi precedenti e quelle che non rientrano nella nuova definizione di partecipata pubblica: una società che produce “un servizio di interesse generale” o progetta e realizza opere pubbliche o è comunque “strumentale” all’ente di riferimento. Restano fuori, dunque, tutte quelle “strane” partecipate che come rivelato dall’ex commissario alla spending review Cottarelli producono “vino, fiori o formaggio e prosciutti”. Stop, poi, agli incarichi ai pensionati e via libera alle azioni di responsabilità per danno erariale, patrimoniale e non patrimoniale, a carico dei manager. In più la gestione di tutte le società, comprese quelle che fanno capo al ministero dello Sviluppo, sarà accentrata sotto il ministero dell’Economia.

Ma l’intervento più dirompente, stando alla bozza di 18 pagine di cui dà conto il quotidiano di Largo Fochetti e che è attesa in Consiglio dei ministri a metà gennaio, è appunto il colpo di spugna sulle costose poltrone. Con conseguente contenimento delle spese, visto che secondo l’ultima analisi dell’ufficio studi di Mediobanca lo stipendio medio di chi ricopre posizioni apicali nei cda supera i 40mila euro l’anno, con picchi di 52.202 euro negli enti gestiti dalle regioni. Tuttavia il premier Matteo Renzi nella conferenza stampa di fine anno ha chiarito che l’intervento non porterà “grandi risparmi, ma soprattutto un miglioramento dei servizi“. Questo anche perché nella platea delle aziende che si vedranno azzerare i cda sono comprese Sogei, Invimit, il Gse Sogin ma ne sono escluse le grandi partecipate statali quotate in Borsa, come EniEnel e Poste, ma pure Enav, Ferrovie dello Stato e la Rai. In più Palazzo Chigi potrà escludere “per decreto” e a sua discrezione singole società dall’applicazione delle nuove norme.

Per gli emolumenti dei manager è prevista comunque una nuova stretta dopo il tetto di 240mila euro fissato nel 2014: dovranno essere “proporzionati alla qualificazione professionale e all’impegno di lavoro richiesto, nonché alla dimensione dell’impresa”. La parte variabile della retribuzione dovrà essere inoltre “commisurata ai risultati di bilancio raggiunti nell’esercizio precedente” e potrà essere azzerata se sono negativi. I dettagli sono però rimandati a un successivo decreto della presidenza del Consiglio. Per costituire nuove partecipate, infine, sarà obbligatorio avere il via libera della Corte dei Conti a cui bisognerà inviare un atto con tanto di relazione tecnica che motivi le finalità istituzionali. Anche l’Antitrust dovrà dare il proprio parere.

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