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“Eni Norge has applied for the Psa’s consent to deploy Goliat Fpso, but the consent will not be granted until Eni is able to demonstrate that the company is ready for start-up. We are waiting for this documentation. We are aware that Eni is working flat out to fix all the faults and defects, to allow us to issue consent to start production. 

It is, however, not the PSA which is delaying the Goliat project. The project has been subject to large delays, which Eni itself is responsible for. The PSA has followed the company’s progress in parallel, and we have made it clear to Eni Norge that we will not grant consent to use Goliat FPSO until we are confident that the activities can be performed in compliance with statute”

 

Le cose all’Eni in Norvegia non vanno così bene. Anzi, pare piuttosto l’armata Brancaleone.

Negli anni scorsi in Norvegia le è successo un po di tutto – incidenti per “lack of competence” cioè mancanza di competenza, citazioni in giudizio per problemi alla sicurezza e adesso ritardi e sprechi nella messa in produzione del campo Goliat nel Barents Sea, l’Artico di Norvegia.

Secondo l’Eni qui a Goliat doveva essere tutto pronto nel 2013. Era una operazione ambiziosa, nel freddo polare dell’Artico, con le migliori tecnologie, con la migliore sicurezza e con una Fpso, lo stesso tipo di nave desolforante che la Rockhopper Exploration vuole piazzare davanti le coste d’Abruzzo con Ombrina. Dal 2013 ad oggi questo campo Goliat non è ancora partito.

Perché tutti questi ritardi? Perché a differenza degli enti italiani che lasciano i petrolieri trivellare un po’ a vanvera, l’ente norvegese che controlla le operazioni petrolifere,  il Petroleum Safety Authority (Psa) è molto più severo e vuole essere sicuro che tutto sia fatto nel pieno rispetto delle regole. Questo Psa conduce delle ispezioni periodiche sul campo Goliat e non si pone scadenze di tempo. Cioè se le cose sono fatte bene, si parte, altrimenti no. Non ha importanza quanto lunga sia l’attesa o in che stato siano mercati e petrolieri, o quanto costano le migliorie che impongono.  Si parte solo se tutto è in regola. Proprio come in Italia, vero?

Dopo vari ritardi accumulatisi dal 2013 a causa delle richieste di questa Psa, finalmente ad Agosto del 2015 l’Eni annuncia ai suoi investitori che erano “solo un po’ di settimane” indietro e che tutto sarebbe stato presto pronto a Goliat. Ma questo Psa è un osso duro. Il 2 Novembre 2015 l’ennesima ispezione mostra una sfilza di almeno sedici irregolarita’ e/o di necessita’ di miglioramenti nelle apparecchiature. Partono altre promesse e impegni agli azionisti. Il 22 Dicembre 2015 dopo l’ennesima ispezione, l’ente norvegese, azionisti o non azionisti, conclude che no, non era tutto apposto nel campo Goliat e che si deve aspettare ancora.

Ops.

Il Psa manda anche una lettera in cui si spiega il perché del mancato nullaosta. La Fpso secondo il Psa di Norvegia  ha concluso che le irregolarità del sistema elettrico della Fpso in presenza di gas o liquidi infiammabili avrebbero potuto portare ad esplosioni. Né l’Eni né la sua partner di minoranza, la Statoil, hanno ancora saputo sistemare i guai e ora la partenza di Goliat, forse, ci sarà nel 2016. 

La cosa che a me più colpisce è questa frase, schietta, del Psa: “Non e’ tuttavia il Psa che impone ritardi al progetto Goliat. Il progetto è soggetto a gravi ritardi, di cui l’Eni stessa è responsabile”. Dicono che ci sono delle “technical weaknesses in equipment” (debolezze tecniche nelle apparecchiature) che devono ancora essere sistemate e che: “C’e’ molta incertezza riguardo i progetti dell’Eni, sullo status delle apparecchiature critiche per la sicurezza e per il lavoro che resta da fare. Da parte nostra è necessario un dialogo lungo e continui monitoraggi”.

Intanto, i costi lievitano. Inzialmente si parlava di 5 miliardi di dollari per la messa in produzione di Goliat, ma i costi hanno già superato i 6 miliardi a causa dei ritardi. Secondo il Wall Street Journal per recuperare i costi e per rendere Goliat competitiva il prezzo del petrolio dovrebbe essere 100 dollari al barile. Invece siamo a 37 dollari.

Ma… dove si trova questo campo Goliat?

Mica a 6 chilometri da riva, come Ombrina. Si trova a 85 chilometri dalle rive di Hammerfest, nel nord della Norvegia.

Notare che se l’Italia e la Croazia decidessero pure loro di trivellare ad almeno 85 chilometri da riva, il mare Adriatico sarebbe petrolieri-free perché l’Adriatico a malapena arriva a 190 chilometri di larghezza.

Buon 2016, anche all’Eni.

Qui le immagini di Goliat e degli altri casi di “lack of competence” dell’ENI. 

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