Alluvione in Costa Azzurra

Un bravo cronista Rai del secolo scorso, quando la Rai era un servizio pubblico, concludeva così il suo racconto del disastro alluvionale più grave del ‘900, accaduto nel Genovesato: “Le immagini ci rammentino due verbi: prevedere e provvedere“. Perché è così difficile prevedere e provvedere nel caso delle crisi ambientali? Cosa insegna la recente vicenda dell’inquinamento dell’aria in Italia? Ha colpito non solo le città del nord, ma anche città del centro-sud, di norma insospettabili, e potrebbe costare al paese perfino un’infrazione comunitaria. Non solo in Lombardia, ma anche a Roma e Napoli i livelli di inquinamento hanno superato quelli polacchi e bulgari, paesi contro cui la Commissione Europea ha già tuonato.

Fin da novembre si poteva temere, anche se non prevedere in senso stretto, bel tempo con temperature miti e piogge deboli o assenti nel Sud Europa. Si tratta di un’impronta climatica ben nota, l’effetto di El Niño (El Niño Southern Oscillation, Enso). Nel 2015 l’Enso è stato assai robusto, il più forte del secolo e tra i più forti mai osservati. Un Enso forte favorisce in Italia un regime meteo di tipo anticiclonico, quello che abbiano sperimentato; così come provoca tempeste e alluvioni in Oregon, Texas e Oklahoma (Usa) in e Inghilterra (Nord Europa); e bel tempo sulla costa est degli Stati Uniti.

Insomma, lo scenario meteo non favoriva l’aria pulita, già quando la situazione non era affatto rosea, poiché quest’anno i superamenti di soglia erano stati numerosi. Lo scenario meteo, però, aveva un risvolto meno negativo: se fa caldo, ci si riscalda meno. Il consumo delle caldaie, grosso modo proporzionale alla differenza di temperatura esterna e interna degli edifici, perciò diminuisce e, con esso, diminuiscono le emissioni da riscaldamento, le più rilevanti. Qualcuno aveva stimato che i due fattori si potessero compensare e, quindi, che intervenire per tempo fosse un inutile fastidio per la gente?

Misure come la limitazione di velocità nei centri urbani si potevano prendere subito. Il sollevamento delle polveri è un fattore un po’ trascurato, ma non irrisorio nei periodi critici. Secondo i dati governativi, pubblicati online da Ispra, pneumatici e freni e manto stradale contribuisco per il 6% all’inquinamento atmosferico a scala nazionale. Guardando a una sola componente del pulviscolo, qualcuno ha mai calcolato il volume di battistrada e d’asfalto che ogni anno viene e polverizzato in una città come Milano? Limitare la velocità del traffico, uno delle misure che si possono prendere “per tempo”, diminuisce queste polveri.

Ho riflettuto che ci sarebbe la metà del danno alluvionale che si registra ogni anno, se l’Italia avesse migliorato la difesa del suolo così come ha ridotto l’inquinamento dell’aria negli ultimi 25 anni. Almeno un po’ si è provveduto, quindi, magari senza gran sistematicità: dai primi anni ’90 del ‘900 agli anni ’10 dei questo secolo le emissioni di particolato sono assai diminuite (in alcuni casi del 50%) vuoi per la de-industrializzazione, vuoi per mezzi di trasporto meno inquinanti. A fine anno 2015, ci siamo seduti sugli allori?

I decisori incaricati di “provvedere” incontrano spesso difficoltà nell’agire in modo tempestivo. Le ragioni sono molteplici e complesse. La pubblica attenzione scatta soltanto in fase di emergenza, quando la gente ha l’acqua alla gola o respira a fatica, mentre qualunque misura che modifichi abitudini consolidate è vista dalla comunità con enorme fastidio, se il pericolo è remoto. Il falso allarme fa quindi perdere molti consensi, quasi come il mancato allarme. Il danno di una mancato allarme, invece, è 10 o 100 volte maggiore del danno prodotto da un falso allarme. Ma ci si fida dell’oblio, poiché la memoria delle crisi ambientali è molto breve.

Questo è solo uno dei motivi per cui i decisori di tutto il mondo sono in genere restii a provvedere in modo tempestivo. Politica e scienza si guardano in cagnesco quasi ovunque. In Italia ci sono fattori aggiuntivi, del tutto peculiari, che remano nella stessa direzione: frammentazione delle competenze, farraginosità delle burocrazie, diversità di vedute a ogni livello. Per ultimo, remano sincroni anche alcuni esperti, scelti dai decisori quali propri guru in base a valori non sempre affini alla credibilità scientifica.

Segnalo il romanzo (The Star Grabber, L’uomo che rastrellava le stelle, Edizioni Il Melangolo Genova) da affrontare, nel caso, con pazienza e la massima indulgenza.

 

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