Apple, Facebook, Google. E ancora Ibm, Oracle, Microsoft. Nell’ultimo decennio l’Irlanda è diventata il cuore del settore informatico. Perché qui le grandi multinazionali americane hanno deciso di aprire le sedi europee. Il motivo è semplice: il regime fiscale che offre alle aziende l’isola di smeraldo è uno dei più favorevoli al mondo, con un’imposta sul reddito delle società bloccata al 12,5%, contro il 25,5% della media europea. A questo dobbiamo aggiungere la forte ripresa economica in corso: nel 2014 il Pil è cresciuto del 5,2%.

“Quando l’Irlanda è arrivata sull’orlo del fallimento, il governo ha fatto riforme importanti, senza tagliare ricerca e sviluppo”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Adorni Braccesi Chiassi, ambasciatore d’Italia a Dublino. E i risultati si vedono: “Le imprese crescono in maniera stabile e questo spiega perché tre anni fa la disoccupazione era al 15% e ora siamo al 9%”, aggiunge. E gli italiani non stanno più a guardare. Negli ultimi anni sono stati tanti i professionisti dell’information technology – ingegneri informatici, programmatori, sviluppatori web – che hanno deciso di trasferirsi a Dublino.

Sempre più italiani in Irlanda, ma mancano le case – Secondo gli ultimi dati di cui dispone l’ambasciata italiana, sono 12mila i cittadini che hanno registrato la loro residenza in Irlanda, il 40% in più rispetto al 2012, quando erano 8.545. Ma la stima è per difetto, perché molti tralasciano il passaggio all’anagrafe. “La presenza italiana in Irlanda è superiore. Gli italiani sono circa 20mila, ma molti non si iscrivono all’Aire perché preferiscono mantenere l’assistenza sanitaria in Italia”, spiega l’ambasciatore. Una ricerca pubblicata da LinkedIn (qui) ribadisce la tendenza: per il secondo trimestre consecutivo l’Italia si conferma il paese con più professionisti in entrata in Irlanda (13% di lavoratori negli ultimi sei mesi), a pari merito con il Sud America e seguita da Francia (11%) e Spagna (9%).

Ma il numero di stranieri che ha deciso di fare un salto nella Silicon Valley irlandese è cresciuto a tal punto da creare un’emergenza abitativa. A oggi, infatti, sono quasi 700mila quelli che vivono in case affittate, mentre nel 2013 – secondo il Private Residential Tenancies Board – il numero era fermo a 455mila. “La popolazione di Dublino cresce a vista d’occhio – ammette l’ambasciatore –, per cui i proprietari degli stabili se ne stanno approfittando e hanno alzato gli affitti quasi del 15%”.

“L’Italia non investe più sui nostri laureati” – Casa o non casa, i nostri connazionali continuano a partire. E nel frattempo l’Italia resta a guardare. “Negli anni ‘90 il nostro Paese ospitava i laboratori delle maggiori aziende informatiche, da Ibm a Microsoft”, spiega a ilfattoquotidiano.it Roberto Baldoni, docente di Ingegneria dell’Informazione della Sapienza. Poi le cose sono cambiate: “Nel decennio successivo abbiamo perso il treno dell’informatica”, ammette. E si chiede: “Come pensiamo di sopravvivere come Paese nel futuro? Solo con il cibo e le borse?”.

Ormai gli investimenti sono ridotti all’osso e le prospettive lavorative sono tutt’altro che rosee: “Le iscrizioni all’università resistono, perché comunque il lavoro si trova – spiega -, il problema è il tipo di impiego che offre l’Italia”. Già, perché superando le Alpi triplicano gli stipendi, ma anche le possibilità. “Per loro natura gli informatici sono abituati a lavorare in un ambiente internazionale – sottolinea -, per cui se l’incarico che hanno trovato non li soddisfa hanno ampie possibilità di trovarne uno all’estero all’altezza”. Tesi confermata da Daniele Nardi, anche lui docente della facoltà di Ingegneria informatica della Sapienza: “Ultimamente anche le aziende italiane offrono contratti a tempo indeterminato, ma comunque non si investe mai sulla persona, si tende a sfruttarla”, spiega a ilfattoquotidiano.it. “Questo è il motivo per cui quelli che restano in Italia preferiscono aprire delle loro start-up anziché lavorare per le grandi imprese”, aggiunge.

Ma l’Irlanda non rappresenta solo una meta di passaggio: “Ci vogliono molti anni perché una persona decida di tornare – ammette -, ed è più facile trovare porte aperte quando all’estero si è raggiunto un ruolo dirigenziale, piuttosto che un ruolo intermedio”.

“Non sempre serve la laurea, qui tanti autodidatti” – Le offerte di lavoro per i nostri informatici arrivano senza nemmeno dover mandare il curriculum. “Io sono stato contattato tramite LinkedIn da un cacciatore di teste”, racconta a ilfattoquotidiano.it Luca, nato a Vigevano 27 anni fa, una quasi-laurea in matematica e una passione per l’informatica che porta avanti da sempre.

Dopo aver ricevuto la proposta di un’azienda che si occupa di scommesse, Luca non ci ha pensato su due volte e ha accettato: “Ho lavorato alcuni mesi a Gibilterra e poi sono venuto a Cork – ricorda -. Dopo tre anni ricopro un ruolo medio-alto e posso decidere quanto voglio guadagnare”. Già, perché il mercato irlandese offre stipendi di gran lunga superiori a quelli italiani: “Nel nostro Paese, dove ho lavorato per varie aziende, sono arrivato massimo a guadagnare 1.500 euro al mese, qui arrivo a 3.400”. Stando ai dati forniti da Payscale, database dedicato al lavoro globale, il salario medio di un manager informatico in Irlanda supera i 4.500 euro, mentre un ingegnere informatico ne guadagna almeno 3.200.

Un’altra testimonianza arriva da Fabrizio Di Carlo, 28 anni, security engineer a Dublino in una multinazionale: “Ho studiato Ingegneria informatica, ma dopo l’Erasmus a Varsavia ho capito che da noi siamo troppo legati allo studio teorico, così ho lasciato”, racconta. Dopo l’esperienza in Polonia, è arrivato in Irlanda: “Avevo mandato diversi curriculum, ma per questo lavoro è stata l’azienda a cercarmi”, ricorda. Senza dare troppa importanza al percorso di studi: “Qui non cercano ingegneri informatici, ma gente competente – sottolinea -, la laurea è un surplus”.

Percorso diverso per Luca Iannario, nato 28 anni fa a Pescara. Dopo la specialistica in Ingegneria Informatica, ha ottenuto un incarico da software engineer a Roma: “Ero un neolaureato fortunato – spiega –, ma in Italia per accedere a ruoli più importanti devi avere per forza alle spalle molti anni di esperienza”. Motivo per cui un anno fa ha deciso di accettare un’offerta di una multinazionale farmaceutica. “Sono a Dublino da gennaio e mi occupo dello sviluppo di piattaforme di hosting per il sito”, spiega. “A nessuno interessa quanti anni ho, contano solo le mie capacità – ammette -, e in 10 mesi ho già avuto un avanzamento di carriera”.

Alessandro, invece, di anni ne ha 42 e ha scelto l’Irlanda per mettere su famiglia: “Sono arrivato a Dublino nel 2008. Avevo deciso di lasciare Firenze perché non vedevo crescita professionale”. Anche per lui il computer è un vecchio amore: “Porto avanti questa passione dai tempi del Commodore 64, mi sono messo a studiare da solo e sono diventato programmatore”.

Dopo anni fermo sulla stessa sedia, in Irlanda Alessandro ha avuto la possibilità di ritagliarsi uno spazio tutto suo: “Ora sono senior system administrator per un gruppo assicurativo multinazionale – sottolinea -. Qui quando rispondi a un’inserzione c’è sempre un piccolo margine di trattativa sullo stipendio”. Anche se l’Italia l’ha deluso, un domani spera di tornare: “Ho due bambini e a Dublino è più facile crescerli – ammette -, ma il nostro Paese mi manca molto”. Nessun rimpianto, però: “Guardando ai miei coetanei penso di essere uno dei pochi fortunati ad aver trasformato una passione in una professione”.

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