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Per il 2016, abbiamo stilato una lista di cinque possibili nuovi Stati che potrebbero presto comparire su mappe, atlanti e sulle scrivanie dei cervelloni di Google Maps. Alcuni nomi sono ormai onnipresenti nelle cronache mondiali, altri sono sconosciuti o dimenticati, spesso da tempo. In ogni caso l’eventualità che da queste situazioni possa nascere o meno uno Stato costituirebbe un fatto importante per lo scenario mondiale attuale, dato che darebbe maggiore forza a fenomeni disgregativi e di frammentazione globale.

Catalogna

In Europa soffia vento d’autonomia. Se il Regno Unito l’anno scorso è riuscito a scongiurare attraverso un referendum l’indipendenza scozzese, persuasa (per ora) a restare nel Regno, non potrebbe essere altrettanto capace, o fortunata, la Spagna. Il referendum approvato dal Parlamento di Barcellona per l’autodeterminazione della regione è previsto per il 2016. La Spagna ha già dichiarato che l’intera operazione non ha valore legale, e la stessa Corte Costituzionale spagnola ha annullato la validità del referendum, ma senz’ombra di dubbio un’eventuale vittoria del fronte autonomista porrebbe la questione indipendentista catalana (e l’identità spagnola, crogiolo di antiche nazioni) su un diverso piano di contrattazione.

Donbass

La guerra in Ucraina, seppur passata in secondo piano, continua senza sosta. Esercito ucraino e separatisti rompono così di frequente la tregua da far ragionevolmente dedurre che nel 2016 si tornerà allo scontro dichiarato. Questa volta tuttavia la Russia, sempre più impegnata in Siria, non sembra disposta a ripetere nel Donbass (nelle province di Luhanks e Donetsk) il blitzgrieg compiuto in Crimea, e un nuovo stallo tra esercito e separatisti potrebbe essere lo scenario più probabile. Da questa situazione i separatisti potrebbero continuare il processo di “state-bulding”, già cominciato quest’anno con la progettazione di una nuova moneta, rendendo il territorio il nuovo e più grande tra gli Stati de facto sorti nei territori dell’ex Unione Sovietica su volere e ingerenza più o meno esplicita della Russia, tra i quali si trovano la Transinistria, l’Abkazia e l’Ossezia del Sud.

Biafra

Se questa piccola (ma ricchissima di petrolio) regione costiera della Nigeria sud orientale raggiungesse l’indipendenza sarebbe un caso di ritorno tra le Nazioni. La Repubblica del Biafra infatti ha avuto una breve quanto tulmutosa esistenza tra il 1967 e il 1970, approfittando della guerra civile nigeriana che insanguinò il paese per tutti gli anni ’60. La portata dell’evento per la Nigeria (e il rischio che un eventuale successo da parte dei Biafra l’avrebbe portata al collasso), fu tale che il Paese, a guerra finita, ribattezzò il “Golfo di Biafra” in “Golfo di Bonny”. Il movimento per l’indipendenza del Biafra sta assumendo una forza tale che – anche a causa del clima d’instabilità che sta vivendo la Nigeria su più fronti – alcuni sottolineavano come il “2015 nigeriano ricordasse il 1960”, con le conseguenti paranoie da parte del Governo centrale. Non è solo il petrolio la posta in gioco (tanto che gli autonomisti si sono dichiarati disposti a “cederlo” ai nigeriani in cambio della libertà politica), ma è l’esistenza della Nigeria quale paese contenitore di etnie che, prima dell’arrivo degli europei, in molti casi non erano neanche in contatto tra loro.

Kurdistan

Comunque vadano le sorti della guerra in Siria e Iraq contro il Daesh, tutti gli attori chiamati in causa saranno tenuti ad accordarsi su come mettere la parola fine alla questione Kurdistan. Di fatto autonomi in Iraq e sempre più intraprendenti in Siria, i curdi si trovano in una posizione di favore per l’indipendenza che forse non si ripeterà mai più. Sostenuti sia dalla coalizione Usa “anti Daesh” sia dalla coalizione russa, con conseguente accondiscendenza dei governi regolari siriano e iracheno, è rimasta solo la Turchia a non voler vedere una patria curda dentro ai suoi confini. Al momento, tuttavia, le sorti della guerra sembrano sorridere sempre più alla causa curda, che prima o poi cominceranno a chiedere un premio per il proprio impegno in funzione anti-islamista.

Oromia

Sempre nel Corno d’Africa, l’Etiopia oscilla tra ambizioni di dominio regionale e incertezza locale. Nonostante gli ingenti investimenti cinesi, il paese fatica a decollare economicamente, e i fuochi dalla vicina Somalia rischiano di contagiare il grande Paese africano, crogiolo di culture e religioni che nel corso della loro millenaria storia si sono spesso dichiarate guerra aperta. Se il peso della storia ha già consentito agli eritrei di abbandonare la casa madre etiope nel 1992, i prossimi potrebbero essere il popolo degli oromo. Situati nelle zone occidentali nel paese, gli oromo costituiscono un terzo della popolazione totale etiope, numero persino superiore a quella degli amhara, meglio noti come abissini, vale a dire gli etiopi etnici “propriamente detti”, in quanto a cultura e tradizione storica, dal Regno di Axum ai grandi imperi etiopi cristiani. Originariamente animisti, fino al loro arrivo nell’attuale Etiopia occidentale, gli oromo vantano una storia antichissima ma, a detta loro, separata da quella degli abissini e denunciano di esser stati colonizzati dall’Impero d’Etiopia nel XIX Secolo allo stesso modo in cui l’Impero Etiope un secolo più tardi denuncerà la colonizzazione da parte italiana. Nel 2015 la tensione tra le due comunità etniche ha raggiunto preoccupanti vette di violenza. A differenza del caso eritreo, gli oromo avrebbero dalla loro un fattore numerico tale che in caso di guerra civile l’Etiopia potrebbe non soltanto rimpicciolire, ma dissolversi completamente.

di Mirko Annunziata

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