Chissà se Sir Arthur Conan Doyle nel 1887 avrebbe mai immaginato il successo planetario del suo Sherlock Holmes. Le decine di versioni televisive, cinematografiche o d’animazione venute fuori sono andate ben al di là di qualsiasi fantasia. Tra quelle recenti, a parte il film omonimo di Guy Ritchie, c’è una serie tv felicemente fuori dai soliti schemi: Sherlock.

Fino ad oggi tre stagioni in onda soltanto ogni due anni, dal 2010 sulla BBC (in Italia viene trasmessa da Mediaset, pay e non, dal 2011) e solo tre episodi per ogni annata, ma dalla durata di un’ora e mezza. Qui Londra non mostra inquietudini vittoriane celando i suoi criminali tra mantelli, corsetti e ombre sotto i lampioni. Tutto si svolge nella metropoli moderna costellata di telecamere dove Sherlock è un giovane consulente investigativo intelligentissimo ma solitario che aspira a sporadiche collaborazioni con Scotland Yard. Lì sono più quelli non lo vogliono, alcuni lo detestano anche, perché troppo brillante, o forse pericoloso, ma lui si presta a lavorare spesso e volentieri anche gratis perché ama risolvere i casi giunti a un punto morto e perché vuole affermarsi in ciò che ama. Da questo punto di vista potrebbe essere una specie di collaboratore esterno in versione deluxe. Magari non così acuti, ma quanti ce ne sono in quest’Italia qui?

Il protagonista ha il magnetismo di Benedict Cumberbatch. Inglese e dalla formazione teatrale, alla soglia dei quaranta ha già collezionato una lunga lista di premi e candidature anche per cinema e televisione. Algido, imperscrutabile, dal fascino intellettuale ma misogino, cerebrale fino alla perdonabile prepotenza, il suo SH (così firma gli sms Holmes) gli è valso un Emmy nel 2014. Quest’anno invece ha ottenuto la nomination all’Oscar, sempre come Miglior attore protagonista, per The Imitation Game, la storia di Alan Turing, l’inventore del computer. Martin Freeman, già volto di Bilbo Baggins nella trilogia de Lo Hobbit, dove peraltro Cumberbatch doppiava il drago Smaug, interpreta il fedele John Watson, sentimentale mani ferme e grilletto facile, ma con i postumi della guerra in Afghanistan a tormentarlo. Nel ventunesimo secolo Watson va dall’analista e Holmes indossa cerotti alla nicotina, ma la chimica tra i due resta il collante perfetto per i gialli al 221 B di Baker Street pur sotto l’ombra del London Eye.

Lo show poliziesco, pensando ai vari C.S.I. e Criminal Minds, è come un pregiato Chardonney di riserva in confronto a vinelli volubili ed economici. Le sceneggiature di ferro vengono dal lavoro profondissimo di Steven Moffat e Mark Gatiss, qui anche produttori. Gatiss impersona addirittura un irresistibile Mycroft Holmes, macchinoso fratello di SH. Ogni singolo episodio amalgama sapientemente i racconti di Doyle con la trasposizione “futuristica”. Nell’attesa della quarta stagione, il primo gennaio su BBC One Usa e Gran Bretagna, un episodio speciale riporterà gli investigatori alla loro epoca originale. Di Sherlock – L’abominevole sposa si sa ancora molto poco ma dalle numerose foto rilasciate Watson torna in baffi e bombetta e Holmes sotto il celebre berretto irlandese. Si parte dal “caso di Ricoletti lo storpio e della sua abominevole sposa”, una storia non scritta ma soltanto citata da SH tra le sue memorie precedenti l’incontro con John, nel racconto Il cerimoniale dei Musgrave. Con l’aggiunta di contenuti speciali sarà poi evento nei cinema di Usa e UK il 5 e il 6 gennaio 2016, mentre il 12 e il 13 in quelli italiani. Elementare, Watson.

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