C’è un imperativo categorico politico e morale, dopo l’approvazione del jobs act e delle controriforme renziane: sconfiggere il Partito Democratico, mandarlo all’opposizione ovunque sia possibile. Questo partito è oggi la quintessenza di quanto di peggio abbia prodotto il liberismo in economia e la degenerazione del sistema partitico in Italia. Viviamo una crisi senza precedenti, una crisi economica strutturale e di lunga durata che ha impoverito milioni di persone che non hanno lavoro, che non possono raggiungere la pensione e che oggi vedono anche compromessi i propri risparmi a causa dei fallimenti delle banche. Non c’è da illudersi purtroppo siamo solo all’inizio del fenomeno.

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Dal 2008 il combinato disposto di globalizzazione economica e crisi della finanza mondiale, hanno prodotto un grande sconquasso. Le economie dei paesi occidentali hanno subito la concorrenza dei nuovi grandi produttori emergenti: Cina, India, Brasile ecc. ecc. Il crollo delle economie ha prodotto l’instabilità dei titoli del debito pubblico dei paesi più indebitati come l’Italia. L’ombrello di difesa della Bce ha garantito finora la tenuta finanziaria contenendo i tassi ma non la ripresa, che è possibile solo con una profonda ristrutturazione delle economie in tempi lunghi. La risposta che viene data alla crisi, non è la lotta all’evasione fiscale, la tassazione delle rendite e dei grandi patrimoni, è invece il taglio indiscriminato del costo del lavoro, delle pensioni, della sanità e del welfare.

Ecco che in Italia dopo il governo “tecnico” di Monti e dopo la parentesi di Letta, è arrivato Renzi che ai tagli ha aggiunto la distruzione del diritto del lavoro e della Costituzione, così come voluto dalle grandi holding finanziarie internazionali, JP Morgan in testa. Per questo gli è stato consentito, con il supporto della destra e dei poteri forti, di subentrare alla guida del maggior partito e poi del Paese. Attraverso un autentico golpe al traballante gruppo dirigente democratico, troppo debole per realizzare un programma così spregiudicato e antisociale. E’ incomprensibile agli occhi di una persona normale come sia possibile che il Partito Democratico abbia voltato in modo così spudorato le spalle alla nostra Costituzione, che ha garantito per sessant’anni la tenuta democratica di un paese condizionato da mafie e massonerie.

L’equilibrio dei poteri dello stato, l’indipendenza della magistratura, la distinzione tra esecutivo e parlamento, il sistema proporzionale pur con tutti i difetti, hanno garantito la vita democratica, pur se attraversata da tensioni e pericoli di ogni genere. Pensiamo a cosa è stata la commissione d’inchiesta sulla P2 guidata da Tina Anselmi, la capacità di sventare un grande complotto contro la democrazia, pensiamo come la magistratura nonostante i tentativi di limitarne l’azione sia riuscita a scoperchiare Tangentopoli e a mandare a casa un’intera classe dirigente.

Cosa accadrà con la nuova legge elettorale che fissa un abnorme premio di maggioranza, consentendo al partito maggiore di fatto di nominare 2/3 del Parlamento in cui il vincitore avrà praticamente una maggioranza schiacciante sotto il suo completo controllo, conquistata col ballottaggio pur rappresentando meno di un terzo degli elettori: la dittatura di una minoranza resa artatamente maggioranza. Con quali criteri si decideranno i giudici costituzionali, quelli della magistratura contabile, le cariche di vigilanza? Ci avviamo verso un regime monocratico illiberale, alla fine della repubblica parlamentare. Tutto questo mentre il mondo del lavoro è zittito, dopo l’abolizione della protezione fondamentale dello statuto dei lavoratori e in particolare dell’articolo 18. I padroni hanno già alzato la voce, si potrà licenziare anche senza giusta causa, sborsando nella peggiore delle ipotesi qualche centesimo di mancia, ma il potere deterrente, è ancor più forte e rende il lavoratore sottomettibile a qualunque sopruso. Ecco l’idea di giustizia sociale che alberga nel governo a guida Pd!

Non è un caso che siano stati attaccati i due istituti principali del nostro ordinamento democratico, la Costituzione e lo statuto dei lavoratori, essi rappresentano l’essenza stessa della concezione progressiva della Repubblica democratica e antifascista, di cui s’intende eliminare il segno. Per queste ragioni non ha alcun senso chi dice che elezioni amministrative, quindi il voto dei comuni, è diverso e si devono valutare solo gli aspetti locali. E’ una menzogna perché tutti sanno benissimo che il potere di Renzi si regge soprattutto attraverso la rete degli amministratori locali che sono l’ossatura del suo partito e che non a caso sono coloro che hanno chinato il capo davanti alle inaccettabili decisioni del governo, a cominciare dall’attuale sindaco di Bologna Merola, diventato renziano, come tanti altri, al primo stormir di fronde.

Oggi l’imperativo categorico è dare una risposta chiara e netta al tentativo di eliminare ogni forma di opposizione, unire la battaglia per nuove amministrazioni comunali che difendano l’autonomia degli enti locali dai tagli e dalla centralizzazione contemporaneamente alla difesa della nostra Costituzione vilipesa, quindi un pieno impegno per la campagna referendaria per cancellare l’odioso Italicum. Tutte le forze progressiste e costituzionaliste, indipendentemente dalla loro precedente collocazione politica, devono unirsi, in questa battaglia di civiltà per salvare il nostro sistema democratico da una svolta autoritaria.

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