Rico Rodriguez è un esperto in rivolte armate. Quando c’è un dittatore da rovesciare nel più violento ed “esplosivo” dei modi, entra in azione senza troppi preamboli, espiando con fuoco e polvere da sparo i peccati dei dispotici dittatori che minacciano democrazia e diritti civili. Avalanche Studios, team svedese responsabile del recente Mad Max, nelle passate generazioni di console ha già messo in scena per ben due volte le gesta dell’atipico eroe. Per Just Cause 3 si è scelto un campo di battaglia d’eccezione: lo splendido arcipelago mediterraneo Medici, terra natale del nostro, tragicamente vittima dei capricci del prepotente Generale Di Rivello.

Potreste anche pretenderla, perfino cercarla nei dialoghi che Rico scambia con alleati e nemici che incontra lungo la sua campagna di bonifica, ma la trama, in quest’avventura, è pressoché inesistente, un mero pretesto per introdurre qualche siparietto comico nel migliore dei casi. Del resto, c’è ben poco da spiegare in questo titolo pubblicato da qualche giorno su PlayStation 4, Xbox One e PC: è uno sparatutto in terza persona, con ambientazione open-world, in cui bisogna radere al suolo ogni struttura militare nemica, missione dopo missione.

A conti fatti, il difetto principale di Just Cause 3, è proprio questo: la cronica ripetitività di fondo che si ripercuote in un gameplay apparentemente privo di profondità e mordente sul lungo periodo. Solo apparentemente, tuttavia, perché se è vero che sin dall’inizio avrete accesso a tutti i gadget e armi di cui avrete bisogno, dall’altro offre strumenti a sufficienza per dare vita ad adrenaliniche e sensazionali sequenze d’azione.

Rico, solo per fare un esempio, può appropriarsi di un bimotore, raggiungere la base nemica, lanciarsi nel vuoto, sfruttare la tuta alare per planare nei cieli e affidarsi al paracadute per poggiarsi delicatamente sul suolo. Una volta a terra, può dare sfogo a tutto il suo arsenale composto da mitragliatori, bazooka e bombe, senza dimenticarsi di schizzare da un punto all’altro dell’accampamento usando il fidato rampino. Il gadget torna utilissimo anche come arma offensiva: può lanciare barili esplosivi contro mezzi corazzati o abbattere, pezzo dopo pezzo, le torrette di guardia presidiate dai cecchini.

Dove non arrivano level design, appiattito dalle ambizioni open-world della produzione, e varietà delle missioni, può contribuire l’inventiva (distruttrice) del videogiocatore. Bisogna naturalmente scendere a compromessi con la filosofia di fondo di Just Cause 3, carpirne l’essenza e abbracciarne consensualmente limiti e potenzialità. Non c’è la profondità strategica di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, né tantomeno la raffinatezza e la precisione degli scontri a fuoco a cui ha abituati la saga di Gears of War. Qui si procede a viso aperto, senza bisogno di coperture, né cercando di nascondersi, consapevoli dei limiti intellettivi dei nemici e che il game over non comporta nessuna penalità degna di questo nome.

Ci sono missioni secondarie, utili per sbloccare sfiziosi power-up, che rappresentano una sfida intrigante, ma sin dall’approdo su Medici è chiaro che il focus di Just Cause 3 non sia quello di offrire un’esperienza impegnativa o capace di settare nuovi standard nel genere di riferimento. Al contrario, lo si può paragonare ad una capiente scatola di giocattoli, utile per dare sfogo ai propri istinti primordiali e per saziare le smanie d’onnipotenza che albergano in ognuno di noi.

Un po’ come il film I Mercenari, un po’ come Goat Simulator, siamo di fronte ad un’opera imperfetta (non mancano nemmeno bug di varia natura) che, tuttavia, tiene inspiegabilmente incollati allo schermo fino alla definitiva deposizione di Di Rivello. Certamente non un gioco per tutti, ma chi ha lo spirito giusto, tra esplosioni ed eliminazioni a catena, non troverà gioco migliore per spezzare con il candido clima natalizio ormai alle porte.

Lorenzo Fazio

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