Sessantatre provvedimenti di legge in materia fiscale in dieci anni, finalizzati a far pagare le tasse a tutti: con l’unico risultato che l’evasione è aumentata. Il j’accuse di Confindustria contro l’“inefficienza’’ del sistema parte da qui, e mette nel mirino sia i legislatori, sia le autorità fiscali, Agenzia delle Entrate in primo luogo: incapaci di fare il loro lavoro, ma avidi del sangue dei (grandi) contribuenti.

Miliardi evasi, ma si sentono tartassati

Nel dossier curato dal Centro studi di Viale dell’Astronomia, dal titolo “L’evasione blocca lo sviluppo. Le misure per debellarla’’, sotto accusa c’e’, innanzi tutto, la gestione dei controlli fiscali da parte dell’Agenzia Entrate: “La selezione dei contribuenti da accertare – si legge – è finalizzata a fare cassa e non alla deterrenza”. Nel biennio 2013-2014, rivela il dossier, è stato sottoposto a controllo fiscale il 94% dei grandi contribuenti con oltre 100 milioni di volume d’affari, contro il 25% delle imprese medie e il 3% appena delle piccole. Ma il vero problema è un altro: “Sui grandi contribuenti si registrano percentuali di irregolarità superiori al 96% in entrambi gli anni”.

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La prova che sono tutti evasori? Al contrario, per Confindustria è la prova regina che il sistema non funziona: “Il dato è anomalo – afferma il rapporto – se i controlli avessero un effetto deterrente, un contribuente irregolare nel 2013 non dovrebbe esserlo l’anno successivo, avendo la certezza di essere ricontrollato. Dai dati sembrerebbe invece che i grandi contribuenti siano incapaci di adempiere agli obblighi richiesti”. In effetti, scorrendo l’elenco dei big che negli ultimi anni sono stati costretti dai controlli delle Entrate a riversare miliardi di tasse nelle casse dello Stato, si evince che quasi tutti sono incappati in accuse di evasione, elusione, abuso di diritto, derivate da accertamenti.

Invece, accusa il dossier, il fisco è molto più distratto su imprese minori e professionisti, che “rischiano un controllo rispettivamente ogni 33 e 50 anni”. In sintesi: “oltre 6 milioni di contribuenti non saranno controllati mai nell’arco temporale della loro attività”. Una bella fortuna, certo. Ma poiché “la propensione all’evasione varia in funzione della probabilità di controllo e sanzione’’ (ma come? non erano inutili i controlli?) proprio qui si cela, secondo Confindustria, la vera evasione: “Nelle piccole imprese, caratterizzate da una più elevata numerosità che diminuisce la probabilità di finire nelle maglie dei controlli”.

Altro punto dolente, sul quale il dossier chiede di intervenire, è il sistema di incentivi agli ispettori del fisco: “Sono necessarie norme che favoriscano la trasparenza sulla definizione degli obiettivi e incentivi del personale dell’Agenzia delle Entrate”, in quanto “possono condizionare l’operato del personale’’ e infatti spesso “hanno dato adito a dubbi sospetti “.

Ma l’Agenzia guidata da Rossella Orlandi è nel mirino anche per un eccesso di autonomia nell’applicazione delle norme: “Motivo di forte criticità è nella compresenza, in seno all’amministrazione deputata al controllo dei contribuenti, anche della funzione interpretativa”. Poiché “la politica tributaria è competenza del Mef”, per Confindustria “è opportuno affidare a questi il compito di fornire la cornice interpretativa della normativa”. La proposta è che “ogni norma fiscale sia accompagnata da una circolare quadro del ministero” che ne fissi l’interpretazione. L’Agenzia dovrà adeguarsi. Quanto alla politica, Confindustria accusa un’inefficienza bipartisan: la “produzione normativa è bulimica e compulsiva”, manca “una strategia chiara e lineare”’, e le retromarce del legislatore sono state “frequenti”: “Prima convinto di introdurre una norma, poi restio nell’attuarle o infine persuaso ad abrogarle, perché inefficaci o poco opportune”.

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L’unità specializzata per Paperoni

Insomma: “Bisogna cambiare radicalmente approccio nell’analisi e nel contrasto dell’evasione, prendendo atto che quanto realizzato fin qui si è dimostrato largamente insufficiente”. La proposta di Viale dell’Astronomia è di porre fine ai “controlli ex post’’, per passare alla “collaborazione preventiva” tra fisco e contribuente. In tre mosse. La prima: assegnare a ciascun grande contribuente un unico funzionario come riferimento fisso nel “dialogo’’ con l’amministrazione, in modo da poter contare su un soggetto “comprensivo” che ne capisca le esigenze: “È importante che l’amministrazione compia maggiori sforzi per conoscere meglio le necessità e il funzionamento delle imprese, che rappresentano la categorie di contribuenti con più spiccate peculiarità”. La seconda: istituire nuclei specializzati per il transfer pricing, altro tasto dolente su cui sono nate infinite querelle tra fisco e imprese.

Infine, per Confindustria andrebbe colmata una terza incredibile lacuna, e cioè la mancanza di un’ “unità specializzata” del fisco per i super ricchi, tecnicamente High Net Worth Individual, “persone fisiche ad alta capacità contributiva’’. Lacuna davvero inspiegabile, poiché il nostro paese in materia di patrimoni non ha nulla da invidiare al resto del mondo: l’Italia – sottolinea il dossier – è infatti “decima nella classifica mondiale della popolazione Hnwi, con circa 220 mila super-ricchi a titolo personale, con reddito annuo superiore a un milione di euro, aumentati l’anno scorso del 12,6% rispetto al 2013”. E vuoi che non ci sia un fisco su misura anche per loro?

Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 23 dicembre 2015

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