Matteo Scrooge «era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento. E sapendo che in ogni modo la gente siffatta è cieca, pensò che non aveva nessuna importanza se strizzavano gli occhi in un sogghigno, come fanno gli ammalati di certe forme poco attraenti di malattie. Il suo cuore rideva e questo per lui era perfettamente sufficiente» (Charles Dickens – A Christmas Carol).

Così il golden premier se ne tornava ridacchiando verso il pied-à-terre fiorentino, a due passi da Palazzo Vecchio, mentre un freddo pungente saliva dall’Arno attraverso Ponte Vecchio. In quella sera di Natale del 2015. Quando ad un tratto gli sembrò di scorgere sgattaiolare in un androne di piazza della Signoria, a lato del caffè Rivoire, un’ombra intabarrata che assomigliava a quella di Enrico Letta.

Il ghignetto abituale si congelò in una smorfia. Ma non era riuscito a spedirlo in Francia, dopo averlo sbertucciato con il trucco dello “stai sereno”? Che ci faceva da quelle parti? Forse, voleva rovinargli la serata che già si stava pregustando, in compagnia di amicizie intime e fedeli con cui celebrare i trionfi di fine anno. Indispettito, aprì la porta della garçonniere con l’affitto addebitato al Giglio Magico entrando in una stanza in penombra: ma – per ora – dei fedeli neppure l’ombra.

Però, dopo qualche istante, avvertì una presenza inaspettata: era il fantasma di Angela Merkel che lo guardava con il più feroce dei suoi sguardi da plantigrada luterana: «zenti, Matteo, cosa essere questa storia che leggo su tutti i giornali italiani di te che fai a rissa con Germania, quando a Bruxelles o Berlino zei zempre uno scendiletto per i miei piedotti calzati di eleganti sandali teteschi in plastica trasparente?». «Ovviah, hai ragione mio amato kaiser, ma simulare un braccio di ferro inesistente con la Magna Germania era l’unica trovata, venuta in mente a Filippo Sensi, per distrarre la pubblica opinione dai pasticci che abbiamo fatto nel salvataggio di quattro banchette decotte». «Verdammnis, dannazione! Ma con tutti i problemi che abbiamo in Europa non avevi niente di meglio di fare questo blizkrieg in pappa di pomodoro?» «Perdonami, ma ero disperato: avevamo cercato di giocare al rialzo sperando che la criminalizzazione della Boschi in quanto portatrice di un opinabile conflitto di interesse depistasse le critiche e impantanasse Alessandro Di Battista. Purtroppo quello che la gente infuriata ha capito benissimo è chi siamo veramente noi finti rottamatori: una confraternita per scalare il potere a qualunque costo. Perdonami! Non lo farò più».

Ma mentre l’inquietante ombra teutonica si dileguava, dopo aver intimorito ancora una volta il querulo giovanotto mostrandogli lo scalpo sanguinante di Tsipras, una seconda presenza iniziò a materializzarsi. Il cui cappuccio nero e la parlata aretina rivelò subito trattarsi della buonanima di Licio Gelli: «caro il mi’ bimbo, ma la smetti di prenderti tutti i meriti di aver salvato l’Italia, quando le idee che sfagioli sono farina del mio grembiule?». Il tono era mellifluo ma metteva paura: «Non temere Maestro Venerabile, tu sai quanto io sia legato alla Loggia massonica fiorentina. Tiro in ballo Tony Blair come mia guida ma tanto tutti hanno capito che la mia diletta guida è Denis». Tranquillizzata dal riferimento a Verdini anche la seconda anima inquieta si acquietò. Ma subito venne rimpiazzata da una terza, che smoccolava piacentino stretto.

«Oh Bersani, ma che vuoi a quest’ora? Te l’ho già detto che se non rompi troppo un posticino in lista per il prossimo Parlamento te lo trovo». «Oh ragazzi, siam mica qui a fare i lampi con le cerniere. Stasera sono qui perché mi devi davvero tranquillizzare che ho difeso la Gioconda d’Arezzo, la Maria Elena Boschi ascesa al settimo cielo del familismo bancario e un po’ mi vergogno. Però di bocconi al culatello avariato di questi tempi ne ho ingoiati un mucchio. Per cui mi devi garantire che posso stare più sereno di Enrico Letta». «Stai sereno», gli rispose Matteo Scrooge, incrociando le dita a scongiuro. Anche se un brivido gli stava correndo lungo la schiena, attraverso il giubbotto Just Cavalli: la sensazione che quello rischiava di essere l’ultimo Natale in cui avrebbe mangiato i cantuccini da premier.

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