“Buongiorno, siamo del servizio elettrico. Possiamo farle risparmiare oltre il 30% sulla componente energia, possiamo entrare?”. E senza neanche accorgersene il signor Rossi ha firmato un modulo, spacciato per “non vincolante” o per “foglio informativo”, dai caratteri così piccoli che neanche una lente di ingrandimento gli sarebbe servita per capire che, invece, si trattava di un vero contratto ottenuto con pratiche commerciali scorrette. Il risultato? Lo sventurato è diventato cliente di un nuovo operatore ed è stato catapultato dal servizio di maggior tutela al mercato libero, senza però rendersi conto delle conseguenze. Solo un paio di mesi dopo, infatti, sfogliando distrattamente la nuova bolletta noterà che l’importo da pagare è maggiore e che tornare alla situazione precedente è un percorso lungo e costoso, perché il nuovo operatore per tenersi i nuovi clienti fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote ponendo ostacoli insormontabili.

Un fenomeno, questo dei contratti non richiesti che in pochi anni – da quando è stato introdotto il mercato libero dell’energia elettrica e il gas – è diventato una piaga per i clienti, come accaduto anche per i servizi telefonici. Tanto che la guerra combattuta dagli operatori che appaltano alle piccole società esterne le battaglie degli agenti ‘casa per casa‘ o ‘telefono per telefono‘ (lo stesso meccanismo di raggiro avviene, infatti, anche con il cosiddetto teleselling) è finita sul tavolo dell’Antitrust che, a inizio dicembre, ha sanzionato per oltre 6 milioni di euro sette imprese del settore luce e gas proprio per l’attivazione di forniture non richieste. A giudizio dell’authority, Enel Energia, Eni, Acea Energia,Hera Comm, GdF Suez Energie, Green Network e Beetwin “hanno alterato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori, adottando procedure di contrattualizzazione in violazione del Codice del Consumo” e sfruttando la “asimmetria informativa causata dalla complessità intrinseca delle offerte commerciali di energia elettrica e gas nel mercato libero”.

Una multa che, tuttavia, non si può certo giudicare salata per i big delle utenze, visto che in Italia, a sei anni dall’apertura del mercato elettrico e a 10 anni dalla liberalizzazione di quello del gas, si contendono a suon di promozioni 30 milioni di utenti del servizio di energia elettrica e 20 milioni del servizio gas naturale con le due utenze che incidono in media per 2.000 euro all’anno nei bilanci familiari. Dall’avvento delle liberalizzazioni è, infatti, sì possibile scegliere fra più operatori (confrontando le diverse proposte sul mercato si può addirittura arrivare a risparmiare fino a 400 euro l’anno), ma non è semplice orientarsi in una giungla così complessa come quella delle tariffe per l’energia. E, anomalia tutta italiana, passando al mercato libero si finisce per pagare di più.

Come ha dimostrato l’Autorità (i dati si riferiscono agli anni 2012 e 2013), nel settore elettrico si sborsa fino al 20% in più, mentre per il gas fino al 10 per cento. Il motivo? Le promozioni durano pochi mesi e, una volta scadute, non si ricambia più la tariffa per pigrizia o per distrazione. E, anche se si volessero sfruttare i vantaggi di un settore liberalizzato, è difficilissimo trovare delle tariffe realmente competitive visto che gli operatori possono farsi concorrenza solo su circa la metà della bolletta. Il costo effettivo dell’energia è, infatti, pari solo al 43% della somma che esce effettivamente dal portafoglio del consumatore. Per la parte rimanente, il 13,5% va in tasse e Iva, il 19,3% in servizi per la gestione della rete e il 25% circa in quelli che vengono definiti “oneri generali di sistema”.

Conviene, quindi restare sotto il mercato di tutela come, del resto, ha fatto il 75% delle famiglie, le cui bollette seguono – almeno per la componente della materia prima – le tariffe fissate ogni tre mesi della stessa Autorità? Inutile porsi ora questa domanda: dal primo gennaio 2016 cambiano, infatti, le bollette dell’energia con l’entrata in vigore della tanto discussa riforma delle tariffe elettriche che andrà poi a regime a inizio 2018 quando tutte le famiglie dovranno dire addio al servizio di maggior tutela nell’elettricità e nel gas ora garantito dall’Autorità per l’energia e il gas.

Cosa prevede il nuovo regime? “Una rivoluzione che – l’ha presentata l’Autorità per l’energia elettrica, gas e sistema idrico (Aeegsi) – semplificherà le bollette e consentirà ai cittadini di pagare in modo più equo”, con risparmi per le famiglie numerose, un piccolo aumento per le famiglia tipo e un salasso per chi consuma di meno come gli anziani, i single e tutti coloro che tendono a spegnere la luce per spendere meno, come insegnano le nonne. Apparentemente potrebbe sembrare, infatti, un controsenso che chi più consuma elettricità spenderà meno. Ma questa riforma delle tariffe elettriche (si tratta di un adeguamento alla direttiva europea 2012/27/CE, recepita dal decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102) in teoria serve a “eliminare l’attuale progressività che prevede una crescita del valore delle diverse componenti della tariffa domestica all’aumento dei consumi mensili”. Si tratta, cioè, di un sistema introdotto 40 anni fa a seguito degli shock petroliferi degli anni ’70 che doveva scoraggiare i consumi di elettricità e che, invece, negli ultimi anni ha reso meno conveniente risparmiare energia o autoprodurla, con il risultato di disincentivare il ricorso alle rinnovabili e all’efficienza energetica.

Spiegazione che, tuttavia, non ha mai convito Adusbef, Codici, Italia Solare, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e WWF che continuano a chiedere di fare un passo indietro sulla progressività, perché – si legge in una lettera congiunta all’Autorità per l’Energia – si “rischia di favorire un uso meno efficiente dell’energia, con conseguente aumento delle emissioni e delle bollette”, in particolare “per le famiglie più povere”. Per ambientalisti e associazioni dei consumatori si tratta, insomma, di un “favore” ai grandi produttori di energia, in crisi per il calo dei consumi e lo sviluppo delle rinnovabili a spese dei clienti. Tanto che hanno annunciato un ricorso al Tar contro quella che hanno ribattezzato “la bolletta della befana” che porterà per tre quarti degli utenti un aumento dei costi, perché da gennaio 2016 non saranno più premiati i consumi più bassi.

Numeri alla mano, per la famiglia tipo si stima che tra il primo gennaio 2015 e il primo gennaio 2018 la spesa media annuale aumenterà di 21 euro (+0,9 euro al mese nel 2016, +0,09 euro nel 2017 e +0,76 euro nel 2018), mentre per le famiglie numerose è previsto un risparmio di circa 46 euro. Il rincaro maggiore sarà per i single benestanti, che pagheranno 78 euro in più (+2 euro al mese nel 2016, +3,7 euro nel 207 e +0,6 euro nel 2018).

L’Autorithy, di contro, parla di un riequilibrio dei pesi, tenendo conto che le fasce di reddito più basso continueranno a godere del cosiddetto “bonus energia” (fino a 20mila euro di reddito per una famiglia di quattro persone) che di fatto sterilizzerebbe ogni possibile aumento nelle fasce basse di consumo.

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