Il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, ha trasmesso istanza di autorizzazione per proseguire la consulenza con il governo avviata con Enrico Letta anche negli anni in cui a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi. Sia nel 2014 sia nel 2015. Entrambi i rinnovi della consulenza con l’esecutivo di cui fa parte anche Maria Elena Boschi non sono gratuiti – come aveva sostenuto Rossi – ma prevedono espressamente un compenso lordo per complessivi 7.500 euro.

I documenti allegati al fascicolo avviato ieri dalla prima commissione del Consiglio Superiore della Magistratura rischiano di mettere in seria difficoltà il procuratore Rossi che è già stato convocato per essere sentito con urgenza e dovrà presentarsi tra il 26 e il 28 dicembre a Palazzo dei Marescialli. Tra gli atti – di cui il Fatto è entrato in possesso – c’è in particolare il carteggio per proseguire la consulenza. E i provvedimenti parlano fin troppo chiaro: certificano che la “domanda pervenuta” è stata avanzata dal “magistrato richiedente Rossi”.

Il 16 ottobre 2014 è Palazzo Chigi a scrivere al vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, che è “intendimento della Presidenza del Consiglio avvalersi della collaborazione del dottor Rossi in qualità di consulente nell’ambito del dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi”, guidato da Antonella Manzione, fedelissima renziana, ex capo dei vigili del Comune di Firenze. Così si avvia l’iter per il rinnovo: da Palazzo Chigi.

Una volta ricevuta la comunicazione, il Csm invia una mail all’indirizzo di posta personale di Rossi in cui gli comunica che la prima commissione “nella seduta del 3 novembre 2014 ha deliberato di invitare la S.V. a trasmettere l’istanza di autorizzazione all’incarico extra-giudiziario, specificando il periodo di svolgimento, l’impegno richiesto e se è previsto un compenso”. Rossi dunque rinnova l’istanza di autorizzazione. Il decreto di nomina “a decorrere fino al 31 dicembre 2014” prevede “un compenso lordo di euro 2.500 da corrispondere posticipatamente in un’unica soluzione e previa presentazione di relazione finale”. Identico iter si ripete nel 2015. Questa volta però il compenso è di 5 mila euro – come ancora oggi riportato sul sito internet del governo – ed è firmato il 24 febbraio 2015. Anche in questo caso il compenso viene legato alla presentazione di una relazione finale, ma nel fascicolo al Csm non risulta Rossi abbia presentato alcuna relazione.

I giudici sollevano l’attenzione sul passaggio relativo alle condizioni per ottenere la consulenza indicate già nella prima lettera inviata e poi ripetute nelle successive: “L’autorizzazione è condizionata alla non interferenza dell’incarico con l’attività giudiziaria e alla garanzia del regolare svolgimento delle funzioni assegnate al magistrato”. Il Csm vuole dunque stabilire se la consulenza con Palazzo Chigi abbia in qualche modo potuto “incidere negativamente sull’esercizio delle funzioni del magistrato” e/o “sul prestigio dell’ordine giudiziario”. In pratica: se l’incarico con il governo abbia in qualche modo condizionato i fascicoli che da capo della Procura di Arezzo hanno coinvolto la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, fascicoli che già nel febbraio 2014 erano due e riguardavano alcuni dei vertici dell’istituto di credito e mai Pier Luigi Boschi. Questo nonostante il padre del ministro per le Riforme, Maria Elena, fosse nel consiglio di amministrazione dal 2011. Prima come consigliere poi, da metà 2014, come vicepresidente.

Ieri, nel corso della seduta della prima commissione, ci si è concentrati inoltre sull’iter di carriera di Rossi ad Arezzo: pm nel 2013, poi reggente (2014), infine procuratore capo. A quanto trapela da Palazzo dei Marescialli nessuno mette in dubbio il buon operato di Rossi ma l’organismo si è attivato per “verificare che abbia agito senza subire influenze esterne”. Al momento non c’è la richiesta di un rinnovo dell’incarico ma “vengono attivate in periodi successivi”. Alcuni giudici hanno fatto notare la difficoltà in cui potrebbe trovarsi ora Rossi coi delicati fascicoli sulla scrivania e una pressione che potrebbe condizionare il suo operato.

Da il Fatto Quotidiano di martedì 22 dicembre 2015

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