Arresti domiciliari e braccialetto elettronico. E’ quanto chiesto dalla difesa di Massimo Bossetti per il loro assistito, imputato nel processo per l’omicidio di Yara Gambirasio. “Chiediamo di sostituire la misura di custodia cautelare in carcere con arresti domiciliari e braccialetto elettronico”, ha detto l’avvocato Paolo Camporini nell’udienza di oggi, lunedì 21 dicembre. Secondo l’avvocato non c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e reiterazione del reato. “La casa di Bossetti è in un posto isolato, facilmente sorvegliabile”.

La pm Letizia Ruggeri si è opposta, la Corte si è riservata di decidere. L’avvocato Enrico Pelillo, legale dei genitori di Yara Gambirasio, si è detto “sconvolto” dalle parole usate dalla difesa di Massimo Bossetti per chiedere i domiciliari. “L’imputato e la vittima appartengono a mondi diversi – ha detto Pelillo – Il primo è vivo, Yara è al Creatore”.

Anche oggi sono stati ascoltati nuovi testimoni. “Non ho mai detto che Bossetti restava impassibile quando nel cantiere di Palazzago veniva Fulvio Gambirasio. Restava in silenzio, ma come tutti noi”, ha precisato in aula Massimo Maggioni, titolare della ditta per cui il muratore di Mapello stava lavorando nel 2010, sentito come teste (è anche parte civile perché Bossetti è accusato di averlo ingiustamente incolpato del delitto). Maggioni ha poi aggiunto di non aver mai notato cambiamenti nel comportamento di Bossetti.

Il papà di Yara si recava nel cantiere per effettuare delle misure: la sua azienda forniva infatti delle guaine. “Quando lo vedevamo si restava un po’ così, un po’ straniti”. Maggioni ha detto di conoscere Fulvio Gambirasio fin da piccolo, perché cresciuti entrambi a Brembate Sopra, ma che le loro famiglie non si frequentavano. A proposito della scomparsa di Yara, Maggioni ha spiegato che con Bossetti si parlava “solo di quello che scrivevano i giornali“.

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