6448319_980816Dei molti libri che abbiamo avuto il piacere di leggere e recensire quest’anno, il più significativo è, probabilmente, Happy Diaz di Massimo Palma. L’autore è un ricercatore di filosofia, noto (oltre che per i suoi notevoli saggi accademici su Walter Benajmin e Alexandre Kojève) per il bellissimo libro d’esordio Berlino Zoo Station, a cui abbiamo dedicato una lunga dissertazione. Già nell’opera dedicata alla capitale tedesca, Palma aveva mostrato il suo peculiare dono autoriale: uno sguardo lucidamente razionale, eppure aperto allo stupore poetico. Da questa duplice ispirazione deriva una rara capacità di visione (panoramica e insieme capillare), che gli consente di esplorare, senza timore di smarrirsi, il labirinto infinito di coincidenze, di intrecci illuminanti, di sincronicità paradossali di cui è intessuto il divenire storico. Se nel libro precedente, Berlino diveniva crocevia e calderone (attraverso la metafora dello Zoo) delle principali tensioni filosofiche e artistiche degli ultimi due secoli, qui l’autore volge il suo sguardo caleidoscopico sulla più oscena e bruciante delle ferite della storia italiana recente: Genova 2001.

L’intuizione è quella di raccontare tutta la settimana delle manifestazioni in occasione del famigerato G8, non solo gli eventi tragicamente noti del fine settimana. Dunque, finalmente si svela e aggira il trucco della propaganda di regime dell’epoca, che riuscì a seppellire sotto la morte di Carlo Giuliani e il clamore delle torture alla Diaz i motivi per cui quelle decine di migliaia di ragazzi stavano protestando. Palma ricostruisce le argomentazioni, le rivendicazioni, le istanze (ingenue, confuse ma complessivamente corrette e profetiche) di quella generazione scesa festosamente in piazza contro l’imposizione di un’ingannevole globalizzazione, costretta poi al lutto silente dalla cieca violenza del Potere. Ma, intuizione ancora più grande, Palma sceglie un’imprevedibile chiave di lettura per non appesantire ideologicamente la sua narrazione: raccontare ogni giorno della settimana di Genova attraverso le canzoni dei gruppi di Manchester (città storicamente operaia e culla di celebri voci di protesta) degli anni ’80 e ’90.

Una scelta molto meno peregrina di quello che possa apparire a primo impatto: si tratta, come recita il sottotitolo del libro, della “formazione musicale di una generazione che è stata ammazzata di botte”. Chiariamo: non si tratta di un giochetto intellettuale.
Palma ha trovato l’unico modo per poter raccontare ancora la storia (mille volte occultata, deformata, manipolata) delle violenze del G8 di Genova: esporre completamente la terribile realtà, attraverso il velo benedetto della leggerezza. Intendiamo il termine, nell’accezione ormai celebre conferitagli da Italo Calvino nelle Lezioni Americane: “Leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Esattamente ciò che fa l’autore in questo libro. Non a caso, altro riferimento fondamentale del libro (oseremmo dire “santo protettore”, considerato il processo di canonizzazione in atto) è il geniale G.K.Chesterton, in particolare il suo memorabile romanzo L’Uomo che fu Giovedì, l’evocazione dei cui protagonisti scandisce il racconto dei diversi giorni della settimana.

Un autore maestro del paradosso, profeta della sapienza nello stupore e della poesia nella ragione, di cui proprio Calvino disse: “Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista”. Il richiamo alla saggia innocenza chestertoniana illumina la via alla narrazione, il cui rigore documentale non contraddice la libertà di riflessione, profonda quanto sprezzante di etichette ideologizzanti.
Il libro è impreziosito da 13 illustrazioni nell’inconfondibile stile di Tuono Pettinato, fumettista tra i più colti e intelligenti del panorama italiano. Tredici ritratti degli eroi del rock mancuniano protagonisti del racconto, da Morrissey a Ian Curtis, dagli Oasis ai The Stone Roses (oltre ovviamente al rubicondo e saggio G.K. Chesterton). Ennesimo sberleffo alla brutalità: issare con umorismo le icone della musica e della giovinezza, più in alto di ogni bandiera listata a lutto.

La vittoria dell’intelligenza sull’imbecillità della violenza. Un libro che, pur rievocando una tragedia epocale, ci ha riempito di speranza.
Happy Diaz non è il requiem di una generazione: è il canto della sua Resurrezione.

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