E’ un giorno particolare per la Spagna: dalle urne, aperte dalle 9 per le elezioni politiche, potrebbe nascere uno scenario politico del tutto nuovo. Non più, com’è stato dalla morte del dittatore Francisco Franco 40 anni fa, una democrazia bipartitica e ancorata all’alternanza tra le due principali forze politiche – popolari e socialisti -, ma un sistema meno definito, grazie al possibile successo dei partiti “rottamatori”, gli Indignados di Podemos guidati da Pablo Iglesias e i “cittadini”, i Ciudadanos di Albert Rivera, catalano, nazionalista e “anti-casta”. Con loro dovranno fare i conti sia il primo ministro popolare Mariano Rajoy sia il suo principale sfidante, il leader socialista del Psoe Pedro Sanchez.

Sono chiamati ai seggi oltre 36 milioni di spagnoli che dovranno eleggere 556 membri delle Cortes generales350 deputati del Congresso e 206 dei 261 senatori (gli altri 55 sono designati dalle regioni, ma il Senato in Spagna non vota la fiducia al governo). Se alle 14 l’affluenza si attestava al 36,9%, in leggero calo rispetto alle ultime elezioni generali di novembre 2011 quando alla stessa ora era andato a votare il 37,9% degli aventi diritto, alle 18 era salita al 58,3%: 4 anni fa l’affluenza alla stessa ora era stata leggermente inferiore, al 57,6%.

Le urne chiuderanno alle 20, orario a partire dal quale saranno diffusi i primi exit poll. Risultati reali attendibili dovrebbero essere disponibili verso mezzanotte. Vengono esclusi i candidati che ottengono meno del 3% dei voti validi emessi in ogni circoscrizione (che in tutto sono 19). In base alla Costituzione spagnola è il Congresso dei deputati che, una volta insediatosi, nomina il premier: per questo nello scenario più probabile prospettato dai sondaggi, ovvero che il Partito popolare vinca ma non ottenga la maggioranza assoluta, Rajoy per essere nominato primo ministro avrà bisogno di ottenere l’appoggio di altri partiti (ed è iniziato il corteggiamento dei Ciudadanos). Oltre ai quattro partiti principali corrono anche la coalizione elettorale di sinistra Unità popolare (che riunisce il movimento Ahora en comun, Izquierda Unida e Verdi) che propone come candidato premier Alberto Garzon e l’Unione progresso e democrazia, di centro e creata nel 2007 da alcuni fuoriusciti del Psoe, che candida Andres Herzog Sanchez.

L’ultimo appuntamento elettorale in Spagna, 4 anni fa, fu il sipario per l’esperienza di governo di Josè Maria Zapatero: i socialisti furono puniti per la gestione della crisi economica. Ma da allora molto è cambiato. Alle Europee del 2014, per esempio, debuttò Podemos che ottenne 5 seggi a Bruxelles, mentre nel maggio scorso il movimento ha ottenuto la guida delle due città principali del Paese, Madrid e Barcellona, con le alcadesas, le “sindache” Manuela Carmena e Ada Colau. Ma c’è da capire quanto peserà anche la questione catalana, esplosa nel settembre scorso quando al Parlamento regionale le due formazioni indipendentiste, Junts pel sì e Candidatura d’unitat popular hanno ottenuto quasi il 48% delle preferenze, con conseguente avvio di un processo di secessione da Madrid (poi dichiarato illegale dalla Corte costituzionale).

E, certo, in Spagna come nel resto d’Europa, resta alta l’attenzione dal punto di vista della sicurezza. E’ la prima giornata elettorale della storia della Spagna democratica che sarà celebrata con in vigore un livello di allerta 4, cioè ‘alto rischio’ di attentati, introdotto a seguito del massacro di Charlie Hebdo a Parigi del 7 gennaio scorso. Per questo saranno dispiegati per le strade del Paese quasi 92mila agenti.

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