L’indagine penale sull’acquisizione della società americana Lag da parte di Parmalat potrebbe arrivare presto a una svolta. Dopo approfondite indagini della Guardia di finanza, nell’inchiesta aperta nel 2012 dalla Procura di Parma che vedeva nel mirino gli allora vertici del gruppo di Collecchio spuntano ora nuovi indagati e nuove ipotesi di reato. La maglia degli inquirenti si è allargata e ora si procede con le accuse di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (articolo 2638 del codice civile) e infedeltà patrimoniale (art. 2634 del cc.), due reati societari che possono coinvolgere amministratori, dirigenti, sindaci.

Le accuse erano già ravvisabili nell’atto con cui a novembre 2013 il tribunale di Parma aveva messo un primo punto fermo sul procedimento civile aperto sulle presunte irregolarità dell’acquisto dell’americana Lag controllata, come Parmalat, da Lactalis, dopo che gli azionisti di minoranza e Consob avevano denunciato l’operazione “infragruppo” come dannosa per le casse di Collecchio (In seguito il prezzo dell’acquisizione da 904 milioni di dollari, proprio per le pressioni di Consob e magistratura, è stato ribassato di 130 milioni). Pur respingendo la richiesta della Procura di Parma di azzerare il Cda e di fatto commissariare Parmalat, il collegio di giudici aveva rilevato “molteplici irregolarità” nella gestione e nel comportamento dei manager, anche se poi, con le successive dimissioni del board, alla corte di appello di Bologna il procedimento si era definitivamente chiuso con un nulla di fatto “per cessata materia del contendere”.

Nel frattempo però, l’indagine penale coordinata dai pm Lucia Russo e Fabrizio Pensa è andata avanti con l’analisi dei documenti e delle mail scambiate tra gli attori di Parmalat con Mediobanca, l’advisor indipendente che doveva stabilire il prezzo di vendita di Lag, e lo studio legale Gatti D’Urso. E ora quelle irregolarità sono diventate ipotesi di reato precise, che hanno riqualificato la prima ipotesi di appropriazione indebita.

L’ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, che nel caso di Parmalat si traduce nel rapporto tenuto dall’azienda con Consob, riguarda la comunicazione non rispondente al vero o l’occultamento della situazione economica, patrimoniale e finanziaria. In questo caso il filone di indagine probabilmente potrebbe passare alla competenza di Roma e per la multinazionale, nel caso si accertassero i reati, la pena sarebbe più grave in quanto società quotata in Borsa.

Per quanto riguarda l’infedeltà patrimoniale, che prevede per gli amministratori un interesse in conflitto con quello della società e un comportamento dannoso per la stessa, gli inquirenti hanno chiesto un’archiviazione parziale per alcuni degli indagati che erano finiti nell’inchiesta in un primo momento, su cui ora dovrà decidere il gip. Per gli altri, le indagini proseguiranno per accertare tutte le responsabilità del caso.

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