La Corte di Cassazione salva in corner i conti di Graziano Delrio (nella foto). Cancellando l’indennizzo da 1,5 miliardi accordato grazie ad un arbitrato molto discusso. E sottoscritto all’epoca in cui l’inquilino del ministero delle Infrastrutture era Antonio Di Pietro. Il beneficiario? Edoardo Longarini, incontrastato sovrano dei lavori di ricostruzione di Ancona. E poi anche di Macerata e Ariano Irpino, anch’essi oggetto di lodo arbitrale: all’imprenditore per questa partita sono stati già liquidati dallo Stato 250 milioni di euro nel 2011. Da ultimo era tornato alla carica per ottenere quanto dovuto in base al lodo Ancona presentando istanze di sequestro nei confronti della Banca d’Italia, della Cassa Depositi e Prestiti e dei Ministeri delle infrastrutture e dell’Economia per la somma record di 1,9 miliardi di euro. Roba da far tremare le vene dei polsi: poi, pochi giorni fa, il colpo a sorpresa della Cassazione.

POLLI DA SPENNARE Con grande sollievo delle casse pubbliche, la Corte di Appello di Roma, a cui sono stati rimessi gli atti dalla stessa Cassazione, dovrà ripartire da zero facendo finta che quella pretesa di risarcimento, una spada di Damocle mostruosa, non sia mai esistita. I giudici del rinvio dovranno infatti accertare, pregiudizialmente, se l’azienda interessata, la Adriatica Costruzioni del patron Longarini abbia diritto o meno all’indennizzo per i lavori, dati in concessione ma mai affidati per mancanza di fondi pubblici. Proprio da questa inadempienza ministeriale ha avuto origine la vicenda che si trascina da quasi dieci anni con una costante certa, almeno fino ad oggi: e cioè a chi dovesse toccare il ruolo, scomodo, di pollo da spennare.

SUA MAESTA’ EDOARDO Ma chi è questo Longarini? Originario di Tolentino, il suo successo non si è interrotto neppure dopo essere finito nelle maglie di Tangentopoli. La sua infatti è stata una parabola inarrestabile: commesse pubbliche da 30 miliardi di lire all’anno, associate al pallino per il calcio e per l’editoria (un clichè tipico dei ruggenti anni ’80) lo hanno incoronato ‘re di Ancona’. I suoi detrattori invece lo hanno sempre bollato come ‘Al Cafone’. “Fatto sta che ha beneficiato del lodo più esoso mai visto al mondo: una cifra inaudita se si pensa che la tangente Enimont era di ‘appena’ 150 miliardi di lire. Uno scandalo consumato da parte di una cricca organizzata per dissanguare le casse dello Stato. Eppure le norme che dicono che questo signore non aveva e non ha diritto alcunché ci sono tutte”, sottolinea l’ex parlamentare Pci-Pds-Ds, Eugenio Duca che, insieme a Donatella Agostinelli, deputata del Movimento 5 Stelle, così hanno commentato la decisione della Cassazione: “E’ un risultato clamoroso per lo Stato e per Ancona che impedisce un vero e proprio  saccheggio di risorse pubbliche degli italiani. Restano invece immutati lo sdegno e le amarezze per l’esito dei due lodi, ormai inappellabili, riguardanti i piani di ricostruzione di Macerata ed Ariano Irpino, fortemente voluti dal Ministro Di Pietro che ha incredibilmente accolto le richieste di Longarini”.

PRETESE ESORBITANTI Il lodo Ancona e gli arbitri ‘esorbitanti’. Per la Suprema Corte, che ha ribaltato una sentenza dello scorso anno (respinte in quell’occasione le doglianze contenute nel ricorso del Ministero delle Infrastrutture), il lodo su Ancona ha tenuto conto, in vista della quantificazione del risarcimento per Longarini, anche di poste totalmente estranee alle opere di cui Adriatica costruzioni era concessionaria. Per la Cassazione infatti vanno considerati, eventualmente, solo specifiche categorie di lavori della variante del 1987 mentre è “inequivocabilmente precluso l’esame di ogni altra pretesa del Longarini pur se collegata o collegabile alla concessione del 1977, nonché a tipologie di lavori non affidati, anche se dalla stessa dipendenti”. Pretese che, invece, sono state prese in considerazione, eccome, dagli arbitri del famigerato lodo, pur essendo “esorbitanti” dalla loro competenza. Ma c’è di più. I giudici di Piazza Cavour invitano i colleghi della Corte di Appello a valutare l’esistenza stessa del pregiudizio posto a fondamento del risarcimento: la concessione dei lavori a favore di Longarini sarebbe avvenuta infatti in violazione del diritto dell’Ue. Che non a caso è stata oggetto successivamente di una procedura di infrazione a carico dell’Italia.

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