“Un accordo non vincolante, che dal punto di vista attuativo non contiene molto”. Il testo nato dal 21° summit sul clima secondo Filippo Giorgi, unico scienziato italiano membro dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change – Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) – organizzazione vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007, “doveva essere più stringente di Kyoto (il primo accordo internazionale salva-clima del 1997, ndr) ma, a conti fatti, non lo è per nulla”. E mentre i governi internazionali brindano a quello che è stato definito dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon “un testo storico”, gran parte delle associazioni e del mondo scientifico prova a segnalarne i limiti. “Non è previsto nessun organo di controllo né sanzioni per quanti non ridurranno l’emissione di CO2”, continua Luca Iacoboni, responsabile Energia e clima di Greenpeace. D’altronde, “la vera spinta per il cambiamento deve venire dal basso – continua Giorgi – non ci sarà mai un accordo sul clima vincolante a livello governativo”. E, quello firmato a Parigi, non sembra fare eccezione.

“Come può un contributo volontario essere vincolante?”
“L’accordo sarà giuridicamente vincolante”. Nel pronunciare questa frase il presidente della Cop21, Laurent Fabius, era visibilmente emozionato. Un intervento, quello del ministro degli Esteri francese, che aveva fatto sperare in un impegno concreto per contenere le emissioni di anidride carbonica, il gas considerato tra i primi fattori responsabili dell’innalzamento della temperatura della Terra. “Ma un contributo volontario, come può essere vincolante?”, è la posizione del membro dell’IPCC. Perché quel che non è stato sottolineato del patto firmato a Parigi è che “vincolante” viene definito l’obbligo di ridurre il surriscaldamento climatico entro i 2 gradi, ma altrettanto obbligatori non sono gli impegni dei singoli Stati. “Tutte le misure nazionali che si devono mettere in atto per raggiungere l’obiettivo internazionale, oltre a non essere sufficienti, non sono in alcun modo obbligatorie”, precisa Greenpeace. In sintesi, “l’obiettivo è vincolante ma gli strumenti per arrivare a questo risultato no”.

L’accordo non prevede controlli né sanzioni
“Manca un meccanismo di controllo e sanzioni”. Su questo punto, il responsabile Energia e clima di Greenpeace non ha dubbi. Stando all’accordo sul clima siglato dai 195 Paesi, “ogni Stato, ogni cinque anni, dovrà presentare i suoi risultati sulla riduzione dei gas clima-alteranti”. Un meccanismo di autocertificazione che secondo l’associazione non sarà efficace anche per la mancanza di sanzioni nel caso in cui un paese non rispetti gli accordi presi. Una scelta, quella di non prevedere strumenti di controllo, che ha origine nella stessa natura dell’accordo. Secondo Giorgi, il testo della Cop21 non permette alcun monitoraggio: “Dire che si deve mantenere il surriscaldamento entro i 2 gradi è una frase troppo generica – precisa il climatologo – l’unica cosa che si può misurare e controllare sono le emissioni di CO2″. A Kyoto, per esempio, l’Italia doveva ridurre le sue emissioni del 6,5%. “Con questo accordo, invece, non ci sono tetti di emissione”. Tanto che, nel patto di Parigi, viene semplicemente chiesto di raggiungere il picco di emissioni “as soon as possible”. Il prima possibile.

“Il limite dei 2 gradi? Scientificamente impossibile”
Dubbi anche attorno al tanto proclamato limite dei 2 gradi, il tetto entro il quale si cercherà di mantenere il surriscaldamento globale. Un limite che da un lato si scontra contro un semplice problema di calcolo, dall’altro contro una verità scientifica. “Anche se rispettati, gli impegni nazionali porterebbero comunque a un’aumento della temperatura tra i 2,7 e i 3 gradi”, precisa Luca Iacoboni di Greenpeace. “Tutti i paesi hanno reso pubblici i loro impegni rispetto alla riduzione di emissioni di CO2 – spiega Iacoboni – Sommando le riduzioni di anidride carbonica di ogni Stato si sarebbe dovuti arrivare, a livello globale, a limitare l’innalzamento di temperatura attorno ai 2°C”. Invece, gli impegni presi dai singoli paesi sono troppo deboli, visto che “messi tutti insieme, determinerebbero un aumento della temperatura attorno ai 3°C”. Tanto che, “anche secondo Climate Action Tracker (gruppo di monitoraggio indipendente costituito da quattro autorevoli istituti scientifici, ndr. http://climateactiontracker.org/countries.html) gran parte degli impegni presi dai singoli stati sono inadeguati”, continua Iacoboni, “ovvero con politiche che porteranno probabilmente a un innalzamento della temperatura di 3-4 gradi”. Condivide la stessa posizione Legambiente. In altre parole gli obiettivi che si sono dati i singoli Stati – oltre a non essere vincolanti – sono poco ambiziosi e, anche se fossero seguiti alla lettera, non porterebbero comunque al raggiungimento dell’impegno internazionale.

Su questo scenario, si innesca anche un tema scientifico. “Dai tempi pre-industriali a oggi la temperatura globale si è alzata di 1 grado, quindi è assurdo pensare che nei prossimi anni resteremo entro 1,5 gradi”, spiega Giorgi. Il motivo è semplice: il calore viene immagazzinato dagli oceani, quindi un riscaldamento di 1°C sarebbe inevitabile anche se non aumentassimo le emissioni di CO2”. Quale quindi lo scenario possibile secondo il membro dell’IPCC? “Con serie politiche di riduzione di emissioni entro il 2100 si arriverà a un aumento di 1,5 gradi. Se continuiamo come oggi, invece, l’aumento potrebbe essere di 4 gradi”. In termini pratici, significa lo scioglimento dei ghiacci di Antartide e Groenlandia, il collasso della circolazione oceanica e la scomparsa della Foresta Amazzonica. “In altre parole, i suoi nipoti potrebbero non vedere mai Venezia o Il Cairo”, continua il climatologo.

“Le rinnovabili? Citate solo una volta”
A proposito di strumenti da utilizzare, nell’accordo della Cop21 “doveva essere maggiormente evidenziata la strada da percorrere – continua il responsabile Energia e clima di Greenpeace –, ovvero abbandonare i combustibili fossili entro il 2050 e sostituirli con rinnovabili e efficienza energetica”. È questa, infatti, la soluzione anche secondo il Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici. Eppure, nel testo di Parigi, oltre a non essere identificata chiaramente l’energia green come prospettiva futura, il termine “rinnovabili” è citato solo una volta.

“L’unica vera spinta può venire dal basso”
Qualche aspetto positivo c’è. Il coinvolgimento dei Paesi emergenti, i grandi inquinatori come Cina e India. “Pechino sta implementando politiche per ridurre l’emissione di CO2 – precisa il climatologo – e il patto della Cop21 potrebbe spingere le economie in via di sviluppo ad avere una traiettoria sostenibile. Perché chissà cosa succederà nel mondo quando sarà l’Africa a svilupparsi”. Una risposta, che secondo il membro dell’IPCC non dobbiamo cercare in nessun trattato. “Credo che non ci sarà mai un accordo sul clima vincolante a livello di governi – continua Filippo Giorgi – la vera spinta deve venire dal basso. Oggi, per esempio, sarebbe difficile costruire una nuova centrale a carbone perché è nato un cambiamento di prospettiva della società civile verso la green economy. È su questa spinta dal basso che dobbiamo contare, a prescindere da qualunque accordo possa mai essere preso”.

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