Ho dovuto trascinare mio figlio stamattina alle dieci di un mercoledì senza scuola a Parigi a vedere Star Wars VII: il risveglio della forza. Lui avrebbe preferito stare a casa a guardare un video su YouTube, insomma lui è di un’altra generazione e, nonostante gli abbia presentato la mattina al cinema come un regalo fatto a lui, in realtà è lui che ha fatto un regalo a me – classe 1967- dunque generazione “La Forza sia con Te”, una frase che conclude le telefonate tra me e mia sorella da più di trent’anni….

Perché Star Wars è stata la saga della mia generazione. Ha contagiato il nostro stile, il linguaggio, l’immaginario di quel “futuro vintage”, fatto di pezzi di rottame spaziale tra deserti e ghiacci, giacche di cuoio, stivali impolverati, tute spaziali scolorite. Per non menzionare il bar multiculturale di Mos Eisley, sul pianeta Tatooine, un’intuizione postmoderna di un mondo globale di specie confuse, che convivono aggressivamente al ritmo di una musica jazz in qualche modo senza tempo, suonata da un quartetto di alieni dalla faccia di formiche. Era l’epoca del postmoderno in effetti, un tema chiave della generazione Star Wars. Mentre a Hollywood si stingevano navi spaziali per dar loro un look d’epoca, il filosofo Jean-François Lyotard scriveva, proprio negli stessi anni, La condizione postmoderna, pamphlet del 1979 in cui si annunciava l’era globale della società dell’informazione e la fine delle grandi meta-narrazioni dell’umanità: il progresso della razionalità e il dispiegarsi hegeliano di una storia universale dell’umanità.

Star Wars è l’epica post-moderna degli anni Ottanta: un mondo confuso, antico e futuro insieme, in cui le epoche non hanno più senso, i canoni si confondono, il magico si mescola al western, alla fantascienza e al melodramma sentimentale. E nell’intuizione immensa di un mondo mescolato, democratico e muliticulturale, che si batte contro i totalitarismi senza ideologia, solo per sopravvivere, l’epica delle epiche sapeva rassicurare. Perché cosa resta dopo le meta-narrazioni, la globalizzazione, la cacofonia dei canoni? Ebbene sì: resta la lotta metafisica fondamentale tra il bene e il male, la luce e il lato oscuro della forza. Buoni e cattivi esisteranno sempre, cambiano incarnazione, mutano le divise, ma quel divario fondamentale è sempre lì. E oltre la metafisica di base resta un po’ di Freud: mamma, papà, sorelle e fratelli ci dicono chi siamo veramente infine, perché si può scappare da tutto, dal pianeta, dalla società, pure dal tempo forse, ma non dalle proprie origini.

Il nuovo Star Wars è un rassicurante omaggio ai vecchi fan: introduce timidamente i nuovi eroi che occuperanno la giovinezza dei nostri figli, se la saga continuerà ad avere successo, e ci riconcilia con il nostro passato con una rassegna di cariatidi commuoventi che rispolverano vecchie emozioni e ci fanno sussultare come quando si riconosce un vecchio amico in una foto di classe. Han Solo, Chewbacca, Leila Organa, R2D2, sfilano invecchiati in questo omaggio alla nostra giovinezza. E nello sforzo di dilettare i vecchi fan (il cinema era pieno di cinquantenni venuti da soli a omaggiare i nostri eroi), il nuovo Star Wars fa sorridere di ingenuità: come quella maschera che Kylo Ren, il nipotino di Darth Vader, porta sulla faccia senza nessun motivo, giusto per scimmiottare il nonno, il quale la maschera l’aveva perché era sfigurato e ridotto a mezzo cyber da un’operazione supertecnologica. Kylo Ren la maschera la porta come se fosse Carnevale, la mette e la toglie senza problemi, mostrando che più che di un’educazione jedi il ragazzo ha bisogno di un buon psicanalista.

Il film non farà forse sognare le nuove generazioni, non emoziona nel suo esagerato classicismo, ma rassicura noi quarantenni/cinquantenni come ci rassicura un Natale in famiglia e ci promette che, anche nel mondo impazzito, stregato e capovolto del calderone globale e postmoderno, psicanalisi e metafisica saranno sempre là a spiegarci chi siamo e perché agiamo.

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