“Io come mestiere prendo per il culo il potente e i suoi accoliti”. Per presentare Tutto Vauro – Sessanta mi dà tanto, la gigantesca raccolta di oltre 1300 vignette firmate da Vauro Senesi in libreria in questi giorni, qualsiasi altra parola possibile viene subito dopo questa frase. Perché nel librone ci sono quarant’anni di vignette su politici, prelati, papi, militari, capi di stato, capoccia, santoni, caporali e gente comune raccontati con un pennarello acuminato e nero, che disegna a suon di sberleffi una controstoria capace di farci ridere a crepapelle e farci incazzare, indignarci e riflettere, talvolta persino commuovere. Nato a Pistoia nel 1955 Vauro Senesi ha riassunto in pochi tratti il trapasso della repubblica italiana dal socialismo effervescente craxiano al nuovo corso berlusconiano, infine renziano, sulle prime pagine de Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera, Linus, Cuore, come dei programmi tv Anno Zero e Servizio Pubblico. Senza dimenticare l’impegno, da giornalista, con i reportage dai fronti di guerra afgani e palestinesi, africani e cambogiani. “Il merito della riuscita di questo libro è tutto dei curatori, io sono disordinatissimo e non ho mai raccolto un accidenti”, spiega Vauro al FQMagazine. “Non ho nessun archivio di quello che ho disegnato. Tutto Vauro è stato un capolavoro di ricerca “archeologica”. Sono molto grato ai curatori, ma scaramanticamente mi tocco le palle. Questi tipi di libri di solito sono alla memoria di qualcuno che non c’è più”.

Quante ne hai disegnate di vignette nella tua carriera? Qui ce ne sono 1300 ma ne avrai fatte di più?
“Boh, non ne ho la più pallida idea. Mi dimentico già della vignetta che è uscita oggi. Le mie vignette sono volatili come farfalle, dopo che sono state pubblicate sul giornale o in tv scompaiono. Di quelle del libro ne ricordo pochissime, ma è una bella sorpresa: illustra il senso del percorso avuto dall’Italia e dal mondo negli ultimi decenni”.

Qual è il personaggio che più ami sfottere, Berlusconi?
“No, di lui avevo la nausea, era una condanna. Oltretutto ho sempre detto che il grottesco è una  componente della satira, solo una componente capite? Ad essere sincero non ce n’è uno in particolare, perché nell’ultimo ventennio i potenti si equivalgono tutti. Basti pensare a quanto sia simile Renzi a Berlusconi. Ora mi basta disegnare un Berlusconi con i nei: l’aggiunta sono solo e proprio tre-quattro puntini di pennarello”.

Lo disegni come un nanetto…
“Si perché sostengono che è nano dentro”

La tradizione dei nei deriva da Bruno Vespa…
“Il neo dovrebbe essere un segnale d’allarme e Renzi non lo coglie. Anche Berlusconi ne era pieno ma con tutto il cerone che aveva addosso non si accorgeva più di averli”.

A proposito di cerone, nel libro c’è una vignetta di metà anni novanta con D’Alema e la moglie. Lei gli dice ‘Ti sei di nuovo visto con Silvio”; e lui “Ma perché mi dici così?”; e lei: “Hai del cerone sul collo della camicia”…
“Carina. Non me la ricordavo”

E quella linguona di Vespa davanti a Monti?
“Non ricordo nemmeno quella. Il linguone di Vespa l’ho disegnato tante volte”.

Ma in quella vignetta gli esce dalla bocca e gli arriva fino in fondo ai piedi, poi si prolunga per metri fino a lambire i piedi di Monti: è bellissima…
“Anche lui ha appena pubblicato un libro, no? Se io ho 40 anni di disegni alle spalle, lui ne ha 60 di leccate. Si capisce che la lingua l’ha piuttosto sviluppata”.

E il Partito Comunista dei Cazzi Miei che hai fondato come sta andando?
“Va benissimo, è il partito comunista più forte del mondo. Il motto, che è poi il mio epitaffio, è “mi sono convinto dei nostri errori, ma non mi avete convinto delle vostre ragioni”.

E questa sinistra che viene sempre evocata come un fantasma, non è che si è perduta per strada e si richiama qualcosa che non c’è più?
“Mi sembra il suicida che si butta dal ventesimo piano che poi quando si è spiaccicato sull’asfalto ci ripensa. La sinistra italiana, e non solo, si è buttata dal 40esimo non dal 20esimo piano e si sono spiaccicati sull’asfalto tutti i suoi valori fondanti. Si sono fatti convincere da quelle famose “loro ragioni” del mio epitaffio. Le hanno sposate in pieno: il libero mercato, il liberismo, la flessibilità nel lavoro”.

Ultimamente ti sei legato molto ai temi del lavoro, parli spesso di articolo 18, jobs act, classe operaia, ma alle persone più giovani quando citi queste parole sembra di parlare nel vuoto…
“Perché al posto di quei valori che citavo prima sono stati creati dei vuoti. Si parla nel vuoto. I valori hanno un senso se sono vivi e si arricchiscono; se si aboliscono, abrogano, rinnegano, al posto di quei valori vengono a crearsi dei vuoti. E come sapete la legge fisica vuole che ogni vuoto si riempia di merda”.

Quando ti sei accorto la prima volta che stavano riempiendo il vuoto di merda?
“Il vuoto l’ho subodorato prima della Svolta della Bolognina. Uscii dal PCI già allora. Però con tutti gli errori che potevano esserci nell’idea comunista, al fondo c’era un’idea di società possibile e più equa. Le idee sono il motore dei cambiamenti reali. Dopodiché è scomparsa l’idea del cambiamento della società e l’accettazione del vuoto passivo dell’esistente. E siccome l’esistente è un esistente di merda, il vuoto si è riempito di merda. Ad un certo punto non c’è stato più un filtro: non c’era l’unità di misura che stava a controllare cosa fosse merda e cosa no”.

Qual è stato il momento storico più difficile per fare satira nella tua carriera?
“Non mi posso lamentare. Continuo a trovarmi benissimo. Questa grande chance di prendere per il culo, per primo me stesso, è una grande libertà e un grande divertimento. Dove ti diverti è difficile tu stia male. Poi ovvio che nella vignetta, nel pezzo satirico, entri un po’ di tutto: la rabbia, il dolore, perché bene o male sono racconti che sono fatti di emozioni. L’importante è averle le emozioni”.

Censure vere ne hai mai avute?
“Casini tanti, ma censure no. Per me la censura peggiore è l’autocensura”.

L’accusa che ti infastidisce di più? Vilipendio? Cattivo gusto?
“Cattivo gusto è il mio motto, ci godo come un porco quando me lo dicono. Il primo numero de Il Male era un uomo che si tagliava il pene. L’accusa che più mi fa girare i coglioni è quando scrivono che sono milionario, perché non lo sono accidenti e vorrei esserlo!”.

Ma i milioni li hai fatti o no?
“Ma no! In questo paese la notorietà e la fama coincidono spesso con il denaro, ma io purtroppo rappresento un’eccezione”.

Dopo gli attentati di Parigi abbiamo tutti faticato a sorridere di fronte ad una vignetta, ad una battuta. Dopo il 13 novembre 2015 la satira si è presa una vacanza?
“I problemini ci sono stati per chiunque abbia un minimo di umanità e buon senso. Sul piano della satira però no. Perché non è la comicità, e quindi deve affrontare e confrontarsi anche con le tragedie. La comicità ricerca la risata a tutti i costi. La risata nella satira è un effetto collaterale”.

C’è stato un politico che ti ha detto che gli faceva piacere di essere ritratto da te?
“Mi è capitato recentemente e m’ha tolto un vanto. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella mi ha chiesto l’originale della vignetta su di lui. Nessun politico l’aveva mai fatto. Purtroppo anche se da poco questo vanto è andato a farsi benedire”.

A proposito di benedizioni: sul nuovo papa però sei molto tenero…
“Beh devo dire che mi piace. Sarà l’età, ma sto diventando inesorabilmente papalino. Non sono mica l’unico ateo papalino in Italia. Questo papa dice cose sensate e la fa anche. Un po’ ti colpisce”.

Gli altri papi ti davano più piacere nello sfotterli?
“Ratzinger era un vampiro meraviglioso”.

Woitjla però lo facevi tremante…
“La natura lo aveva fatto così, mica è colpa mia. Vedete, la crisi della politica è stata sostituita dal politically correct che è peggio. Qualsiasi cosa tocchi c’è sempre qualcuno che si sente personalmente insultato. Sarà la mediocrità delle nostre esistenze che porta a questo, ci si vuole sentire protagonisti anche in negativo”.

Sfide future dopo 40 anni di vignette?
“Riaprire Il Male. Che in questo paese non ci sia un giornale di satira a livello nazionale è assurdo, a parte il caso locale de Il Vernacoliere. Chissà che con il vecchio Vincino non ci si riprovi. Non c’è editoria libera in Italia. Lo so è la scoperta dell’acqua calda. Una volta c’erano i mecenati per le arti e la cultura, come nel cinema, ma oramai il conformismo è così dilagante tanto da cancellare queste eccezioni. Ma state tranquilli ci riproveremo ancora”.

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