La potrebbero chiamare la banda del buco. O meglio, delle buche. Niente rapine, ma tante mazzette, 650mila euro in due anni – secondo le indagini – per aggiudicarsi i lavori di manutenzione stradale nella Roma del Giubileo. Sette arresti (diciotto complessivamente gli indagati) per un’inchiesta che sta entrando negli uffici del Comune della capitale: in carcere sono finiti Francesco Pantaleo e Stefano De Angelis, del dipartimento ‘Simu’ (Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana) di Roma Capitale; Roberto Brondi, Piero Seguiti, Doriano Carbonari e Paolo Fornaciari, impiegati rispettivamente presso i Municipi V, IX, X e XII di Roma e Franco Ridenti, tecnico della Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata. Nessun politico, al momento.

Gli arresti di questa mattina, eseguiti dai carabinieri del Nucleo tutela ambiente, hanno completato l’operazione iniziata lo scorso ottobre, quando l’imprenditore Luigi Martella e il suo braccio destro Alessio Ferrari furono colpiti da un’analoga ordinanza cautelare. I due sono ritenuti a capo di un vero e proprio cartello specializzato negli interventi di manutenzione delle strade di Roma – spesso in condizioni drammatiche – in grado di macinare la maggior parte degli appalti nella capitale. Durante le indagini gli investigatori hanno ricostruito la rete di imprese, almeno una decina, che facevano capo a Luigi Martella. Stesso indirizzo, stessa direzione e molto spesso gli stessi operai sui cantieri. Un sistema che consentiva di pilotare le aggiudicazioni dei lavori, attraverso la presentazione di “offerte civetta” e l’affidamento dei subappalti ad imprese controllate.

All’appello mancavano i corrotti, quei dirigenti comunali che avrebbero consentito al gruppo Martella di assicurarsi il piatto ricco dei cantieri stradali. All’emissione dell’ordinanza cautelare – richiesta dal Pm romano Stefano Pesci – si è arrivati anche grazie alla collaborazione degli imprenditori arrestati a ottobre. Ed era difficile per loro negare quello che stava emergendo: mentre i carabinieri li ammanettavano, dalla Procura venivano intercettate le telefonate convulse dei dipendenti che parlavano delle schede cantiere, “dove ce stanno scritte le mazzette che danno”. Documentazione che – sostengono gli inquirenti – formava una vera e propria contabilità occulta, scoperta in alcune pen drive sequestrate dopo i primi arresti. I funzionari pubblici indagati questa mattina sono sospettati di essere il terminale finale di quelle mazzette, inserite nei conti paralleli come generiche spese. Somme che, secondo la ricostruzione della procura, potevano superare anche i 100 mila euro, con una media del 4% sulla cifra dell’appalto.

La tangenti non servivano solamente ad assicurarsi l’aggiudicazione dei cantieri. Le imprese coinvolte avevano un doppio guadagno: risparmiavano sui lavori mettendo meno asfalto. E chi doveva controllare si girava dall’altra parte. In alcuni casi lo stesso capitolato veniva pensato per consentire un guadagni extra all’impresa. Bastava, ad esempio, prevedere la rimozione dei sampietrini a mano, con un costo di mano d’opera esorbitate. Poi, se lo faceva una ruspa, nessuno in fondo protestava. E tutti – o quasi – ci guadagnavano.

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