Non ho simpatia per gli uomini saggi, per i santoni, per i profeti. Amo frequentare gli idioti, gli stupidi. Penso che la stupidità sia molto più vicina alla stupore di quanto lo sia l’intelligenza. Lo scemo del villaggio è per sua natura uno spirito fraterno al mio, anzi, forse sono proprio io lo scemo del villaggio, ma sarebbe troppa grazia, non merito tanto. Non è che l’intelligenza mi faccia schifo, ne riconosco i meriti, ma anche i limiti, mentre la stupidità è infinita, si avvicina di più al mistero delle cose. Ebetudine e beatitudine sono simili, e nelle sue estasi Teresa d’Avila non aveva pensiero, la forma pensiero era assente.

Non voglio essere saggio, la saggezza mi sembra un corollario della camomilla, e non voglio essere calmo. La calma mi agita. Quando entro in un cimitero sogno un terremoto che faccia danzare i morti nelle viscere della terra. Non voglio vivere serenamente e nemmeno voglio morire serenamente. Voglio vivere nell’inquietudine e morire incazzato. E così sia.

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