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Quota 5.000. Ha superato “quota 5.000” il numero delle start-up italiane: sono precisamente 5.016 (dato al 7.12.2015, fonte Unioncamere), quasi 7 start-up al giorno, a partire dal 17 dicembre 2012, quando venne approvata la legge sulle start-up.
1.525 (il 30,4%) sono nel Nord Ovest, 1.255 (25%) nel Nord Est, 1.090 (21,7%) al Centro, 1.146 (22,8%) al Sud ed Isole; sono invece 611 le start-up che vedono la prevalenza di donne imprenditrici (il 12,2% del totale). Se Milano la fa da padrona come numero complessivo di start-up, è il Trentino Alto Adige a guidare la classifica delle start-up per abitanti residenti.

Il rischio di aprire nuove imprese basate su nuove tecnologie è elevato, ma voglia di intraprendere e tenacia delle start-up italiane lo sono ancora di più; sono solo 66 le start-up che sinora hanno chiuso la propria attività, l’1,3% del totale: 14 sono portali web, 10 società di produzione software, 5 società dedicate alla ricerca ed allo sviluppo, 4 dedicate alle tecnologie informatiche, le restanti 33 in settori diversi.

Al momento, sembra però ancora assai lontano, quasi un miraggio, diventare un “unicorn”: il fatturato medio è infatti di 130.000 euro. Un sistema ancora “immaturo”, ma in rapida evoluzione; 25.000 persone complessivamente ogni giorno lavorano in una start-up, e meritano di trovare il loro spazio in un mondo iper-tecnologico ed iper-competitivo.

Anche nel settore finanziario le start-up italiane muovono i primi passi: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2014 le “fintech start up” italiane hanno raccolto 7 milioni di euro, meno dello 0,1% del totale mondiale. Guardando alle sole “fintech start up” mondiali, nel 2014 esse hanno raccolto 2.357 milioni di dollari e nel corso del 2015 hanno superato quota 3.000 milioni, precisamente 3.213 milioni di dollari; il 51% dei fondi raccolti sono andati a società che operano nei pagamenti elettronici (1.829 milioni), finanziamenti e consulenza alle imprese (il 31%), analisi finanziaria (c.d. data analytics, col 10%), negoziazione titoli (8%).

Il settore dell’innovazione finanziaria tocca poco il Belpaese, arretrato sia per le applicazioni tecnologiche, sia per servizi meno “rivoluzionari”, ma necessari per le imprese (specialmente di più ridotte dimensioni), come interventi nel capitale (private equity) e delle fonti di finanziamento (come i minibond). La strada, seppure segnata, è irta di ostacoli ed assai lunga.

 

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