Un articolo in cui si racconta dei documenti top secret trovati negli armadi di un ex senatore può costare al cronista un’indagine per false informazioni al pubblico ministero. È quello che è successo al giornalista pubblicista Marco Bova, iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Trapani perché non ha voluto rivelare la fonte di alcune informazioni contenute in un articolo pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 30 settembre scorso.

Un pezzo in cui si raccontavano alcuni particolari emersi nell’indagine a carico di Nino Papania, l’ex senatore del Pd estromesso dalle liste alle politiche del 2013 perché considerato “impresentabile” dal comitato dei garanti del suo stesso partito. Papania è imputato a Trapani, nell’ambito di un procedimento per voto di scambio, reato che si sarebbe consumato ad Alcamo, suo feudo elettorale, alle amministrative del 2012. Come svelato da ilfattoquotidiano.it quelle elezioni erano andate in onda mentre i fedelissimi dell’ex senatore procacciavano voti in cambio di denaro e promesse di posti di lavoro.

Ed è in uno dei rivoli di quell’inchiesta che gli agenti del nucleo di polizia Tributaria della guardia di Finanza hanno ritrovato alcuni documenti riservati negli uffici del politico dem. Si tratta di alcuni verbali d’interrogatorio eseguiti dalla procura di Trapani proprio nell’ambito della stessa inchiesta che coinvolge Papania, e che quindi non potevano essere nelle disponibilità dell’ex senatore. In più i documenti sono “privi di firme” e senza gli omissis inseriti successivamente dai pm: come ci sono finiti negli archivi dell’esponente Pd? Gli inquirenti sospettavano che quei verbali provenissero direttamente dai computer dell’autorità giudiziaria: come dire che il politico dem godesse di particolari favori persino nei ranghi della pg.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, il pm di Trapani Marco Verzera ha contattato Bova per interrogarlo come persona informata sui fatti. Al momento di rivelare la fonte delle sue informazioni, Bova si è però rifiutato appellandosi al segreto professionale. Per questo motivo è stato iscritto nel registro degli indagati per false informazioni: Bova infatti è giornalista pubblicista e secondo il pubblico ministero non può trincerarsi dietro il segreto professionale proteggendo la fonte, prerogativa che sarebbe riservata solo ai professionisti.

In realtà, già in passato sono state emesse sentenze di senso opposto, volte cioè a estendere la possibilità di appellarsi al segreto professionale anche per i giornalisti pubblicisti. L’ultima è quella del tribunale di Palermo che ha accolto la richiesta di Maria Letizia Affronti, giornalista pubblicista e collaboratrice dell’inviata di Striscia la Notizia Stefania Petyx. Affronti era l’autrice del reportage di Striscia in cui si raccontava della barca di Diego Cammarata, l’ex sindaco di Palermo che usava come skipper un dipendente della Gesip, società del comune. Dal servizio nacque un indagine – e poi un processo – per abuso d’ufficio e truffa a carico del sindaco e dello skipper, ma la giornalista si era appellata al segreto professionale quando il legale di uno degli indagati le aveva chiesto la fonte delle sue informazioni. Da qui si è arrivati alla decisione del tribunale siciliano, che è destinata comunque a fare giurisprudenza.

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