Le recenti novità relative al caso Cucchi rivelano il profondo malessere che alberga in determinati ambienti di polizia del nostro Paese. Ci sono voluti sei anni per iniziare ad aprire un varco in quel putrido sistema fatto di omertà mafiosa e mentalità fascista che ha difeso dei criminali di Stato da noi pagati. Le parole intercettate dell’ex moglie di un carabiniere (Raffaele D’Alessandro) sono inquietanti: “Ricordo che Raffaele mi parlò di un violento calcio che uno di loro aveva sferrato al Cucchi. Preciso che Raffaele raccontava che il calcio fu sferrato proprio per provocare la caduta. Quando Raffaele raccontava queste cose rideva, e davanti ai miei rimproveri, rispondeva: Chillu è sulu nu drogatu è merda. (…) gliene abbiamo date tante a quel drogato…

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E ha proprio ragione Raffaele D’Alessandro. Per capire quante gliene furono inflitte, invito a visionare le note foto che furono scattate dalla famiglia sul corpo tumefatto del povero Cucchi, e ad ascoltare l’audio relativo al suo interrogatorio. Dopo esser stato massacrato da dei “servitori” dello Stato, Stefano affermò confuso in aula di non riuscir a parlare tanto bene.

Ma quanti sono i casi simili a quelli di Cucchi? Se Stefano non avesse avuto una sorella così tenace e coraggiosa, che fine avrebbe fatto questa storia? Stesso discorso per Federico Aldrovandi assassinato nel 2005 a seguito di un intervento di polizia. Per quel caso quattro agenti sono stati condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi anche se poi la pena, per via dell’indulto, è stata ridotta a soli sei mesi. Anche per Aldrovandi nessuno ha chiesto scusa, nemmeno Carlo Giovanardi che in relazione alla foto scattata all’obitorio, affermò, che non si sarebbe trattato del sangue di Federico ma di un cuscino rosso.

Probabilmente, senza la forza della famiglia e l’ausilio di pochi giornali (Il Fatto in primis) entrambi i casi sarebbero finiti nel dimenticatoio e i suoi aguzzini avrebbero fatto carriera come è accaduto per i torturatori della scuola Diaz di Genova. Torturatori che per la loro mattanza non hanno mai chiesto perdono. Giovanni de Gennaro, dopo esser stato capo di gabinetto è stato persino designato presidente di Finmeccanica. La stessa azienda di cui l’ad è quel Mauro Moretti rinviato a giudizio per la strage di Viareggio.

Ricordo ancora gli occhi umidi e la voce rauca di don Andrea Gallo quando mi parlò a lungo di quei giorni del social forum. Mi disse che la democrazia, proprio come fecero i partigiani, va conquistata giorno dopo giorno. E in questi tempi di crisi generalizzata il pericolo di rigurgiti fascisti sono concreti e vanno bloccati con la cultura e la certezza delle regole per tutti. A maggior ragione se si indossa una difesa.

La mia non vuole essere un’accusa tout court alle forze dell’ordine. Esse sono composte da uomini e donne sottopagati, gettati allo sbaraglio da una classe politica indecorosa che non gli garantisce nemmeno il necessario per svolgere in sicurezza il proprio lavoro. I veri responsabili sono coloro che da sempre li adoperano come cani da guardia del potere.

Il problema è capire qual è la percentuale di coloro che svolgono la loro funzione in maniera equilibrata. Ma soprattutto ciò che si dovrebbe accertare è la volontà di denunciare quei grumi di elementi non democratici che, oltre a screditare un’intera categoria, rischiano di far marcire l’intero settore. Per evitare ciò occorre vincere quella mentalità complice, da caserma che tutto insabbia in nome di un becero cameratismo. Quel cameratismo che voleva proteggere i militari italiani che nel 1993 in “missione di pace” Onu torturarono dei somali applicandogli degli elettrodi ai testicoli e poi violentarono una ragazza con un razzo luminoso. Forse, se ci fosse stata una seria e reale indignazione si sarebbero evitati a Nassirya nel 2014 nuovi casi di tortura da parte dei militari nostrani.

Perché nel nostro Paese non si ha la sufficiente maturità democratica da affermare che quando due italiani in divisa sparano e ammazzano dei poveri pescatori indiani sono quest’ultime le vittime e non i loro assassini? Chi difende coloro che impugnano le armi in maniera impropria e non le vittime attingono a quella medesima sottocultura che esaltò un tempo il regime fascista. E attenzione, lungi da me l’asserire che il problema odierno sia l’antagonismo tra fascisti e antifascisti: il vero potere che oggi ci domina ha bypassato i colori e le carnevalesche sfilate di piazza e da curva da stadio perché si è inserito in maniera del tutto neutrale e anonima nelle stanze che contano.

Le forze politiche di questo Paese devono avere il coraggio di denunciare le malefatte di chi indossa la divisa e non recitare il solito ipocrita mantra difensivo che incancrenisce i problemi invece di risolverli.

Perché mi occupo di questo argomento? Perché ho a cuore la fragile tenuta democratica e la salute delle forze dell’ordine sono il termometro democratico di un Paese. Uno specchio in cui si riflette l’azione esecutiva.

Ognuno tragga le proprie conclusioni.

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