“Subito una Commissione di inchiesta sullo stato del sistema bancario italiano che indaghi sui limiti della vigilanza operata dalla Banca d’Italia e dalla Consob“. Lo chiede il M5s in merito al via libera al pacchetto di aiuti promesso agli obbligazionisti di Banca Marche, Popolare dell’Etruria,Carife e CariChieti che hanno perso i risparmi dopo il decreto che ha sancito la “risoluzione” delle quattro banche. “Speriamo – spiega il deputato Alessio Villarosa – che ci dia una mano anche Forza Italia dopo l’analoga richiesta fatta dal capogruppo azzurro Renato Brunetta“. M5S boccia in toto la soluzione “umanitaria” ipotizzata dal ministro dell’Economia Padoan agli azionisti delle banche coinvolte. “No ad elemosine”, sottolinea Villarosa che aggiunge: “Non sono profughi siriani, ma cittadini italiani da tutelare”. Per i 5 Stelle le soluzioni per evitare la “beffa di un intervento umanitario” ci sono e sono tre. “L’attivazione del fondo di tutela dei depositanti che – dicono – non sarebbe vietata in quanto la nuova normativa sul “Bail-in” (in caso di banche in difficoltà, dovranno farsi carico delle perdite anche i privati come gli azionisti e gli obbligazionisti, ndr) entra in vigore dal primo gennaio 2016. Sarebbe inoltre possibile un intervento pubblico per ristrutturazione. “Il finanziamento – sottolinea in conferenza il deputato M5S Daniele Pesco – dovrebbe, in questo caso, essere restituito senza quindi configurare aiuti di Stato (vietato dal diritto Ue, ndr). E, in caso contrario, lo Stato – prosegue – potrebbe sempre entrare nel capitale delle banche per ristrutturarle”. Terza ipotesi: l’ingresso degli azionisti e degli obbligazionisti nelle relative bad bank (dove andranno i crediti peggiori, come accaduto ad esempio con Alitalia, ndr) degli istituti coinvolti. “In questo modo – prosegue il deputato M5S Daniele Pesco – potrebbero essere risarciti dalla valorizzazione dei crediti non riscossi”. I 5 Stelle propongono inoltre di “utilizzare i cospicui dividendi di Bankitalia per risarcire i risparmiatori truffati“. “Basterebbe – conclude Pesco – dimezzare i dividendi che sono al 6%”. Ipotesi che però il governo ha accantonato

 

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