Un altro barcone carico di migranti è affondato nelle acque del mar Egeo, davanti alle coste della Turchia, provocando la morte di almeno 11 persone, tra cui 5 bambini. A bordo dell’imbarcazione di legno, sprofondata vicino all’isola greca di Farmakonissi, c’erano circa 50 migranti, secondo la Guardia costiera, che ne ha messi in salvo 26, mentre 13 risultano ancora dispersi.

La Guardia costiera greca e le squadre di Frontex sono intervenute dopo avere ricevuto una richiesta di soccorso. Tra i sopravvissuti anche quattro bambini che sono stati trasferiti in elicottero in un ospedale vicino all’isola di Samos con gravi sintomi di ipotermia, mentre due imbarcazioni della Guardia costiera, una dell’esercito, un’imbarcazione privata e un elicottero continuano a lavorare nella zona per cercare i dispersi.

Soltanto ieri, nello stesso tratto del mar Egeo che separa le coste turche dalle isole della Grecia, altri due naufragi sono avvenuti a poche ore di distanza. Il bilancio delle vittime è stato di 7 bambini annegati, tra cui anche un neonato, mentre almeno altri due migranti risultano dispersi. Il naufragio con il bilancio peggiore è avvenuto intorno alle 2.30 di martedì notte, quando un gommone carico di profughi afghani diretti a Chios si è rovesciato in mare: la Guardia costiera turca è intervenuta salvando 5 persone, ma per 6 bambini non c’è stato nulla da fare.

Nelle stesse ore sulla spiaggia di Pirlanta, sempre a Cesme, è stato rinvenuto il corpo di una bimba, identificata come Sajida Ali, una piccola siriana di 5 anni. Secondo le autorità di Ankara, sarebbe annegata in un naufragio avvenuto al massimo 3 giorni fa. Le drammatiche immagini del corpo della bimba sulla spiaggia, diffuse dai media turchi, hanno subito riportato alla mente quelle del ritrovamento di Aylan Kurdi, il bambino curdo-siriano di 3 anni annegato a inizio settembre con la madre e il fratellino di 5 anni mentre cercavano di raggiungere l’isola greca di Kos, al largo di Bodrum. La piccola Sajida, pantaloncini viola e scarpette nere, appare distesa supina su un cuscino a pochi metri di distanza dalla riva, probabilmente adagiata lì dagli agenti della gendarmeria turca dopo che le correnti l’avevano portata sulla costa. La parte superiore del corpicino resta coperta da un lenzuolo, trattenuto a terra da alcune pietre perché non venga spostato dal vento.

Nonostante la stretta alle frontiere promessa da Ankara dopo l’accordo con Bruxelles di fine novembre e l’arrivo dell’inverno, continuano gli arrivi quotidiani di barche sulle isole greche. Ogni giorno nel porto ateniese del Pireo sbarcano circa un migliaio di persone. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), finora quest’anno la Grecia ha accolto il maggior numero di rifugiati e migranti arrivati in Europa via mare, circa 700mila persone. La rotta tra Turchia e Grecia è stata attraversata quest’anno da oltre 750mila persone. Tra loro, uno su quattro è un minore. Secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità di Ankara, rispetto allo scorso anno i salvataggi nell’Egeo sono aumentati di oltre il 500%, passando da 14.961 in 574 interventi a 79.489 in 2.133 operazioni. Ma nonostante questo i morti in mare sono quasi 600. Dopo la conclusione dell’accordo con l’Unione Europea il 29 novembre scorso, la Turchia ha rafforzato i controlli alla frontiera, fermando la scorsa settimana quasi tremila migranti pronti a imbarcarsi dal distretto di Ayvacik, punto di partenza privilegiato da chi vuole recarsi a Lesbo. Nelle operazioni erano stati arrestati anche 35 presunti scafisti.

Intanto in Grecia la polizia ha chiuso il valico di frontiera di Idomeni con la Macedonia per far fronte a centinaia di migranti ai quali è stato vietato l’ingresso da Skopje. Le autorità hanno chiuso l’area e per un breve periodo hanno posto in stato di fermo giornalisti e fotografi. Nella zona sono stati inviati oltre 200 poliziotti in tenuta antisommossa. I migranti si trovano a Idomeni da tre settimane, dopo che le autorità macedoni hanno imposto restrizioni sugli ingressi ai richiedenti asilo politico.

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