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Ho deciso di pagare un viaggio al professore Roberto Vecchioni. Voglio portarlo a visitare quella Sicilia che forse non ha mai incontrato, quella terra che ho fatto conoscere a centinaia di ragazzi del Nord che negli anni scorsi ho accompagnato in via D’Amelio; sui terreni confiscati alla mafia; a calpestare quei cento passi a Cinisi, dove un giovane di nome Peppino ieri e tanti ragazzi oggi si ribellano alla criminalità organizzata.

A Palermo nei giorni scorsi il cantautore è arrivato a presentare il suo libro e della Sicilia ha parlato così: “Credete che sia qua soltanto per sviolinare? No, assolutamente. Arrivo dall’aeroporto, entro in città, praticamente ci sono 400 persone su 200 senza casco, tre file di macchine in mezzo alla strada e si passa a fatica. Questo significa che tu non hai capito il senso dell’esistenza con gli altri. Non lo sai, non lo conosci. È inutile che ti mascheri dietro al fatto che hai il mare più bello del mondo. Non basta. Sei un’isola di merda”. Ma non basta. Dopo le polemiche per questa espressione, il professore ha scritto una lettera al “Corriere della Sera” per cercare di spiegare meglio la sua posizione ma ha peggiorato la situazione: “Ed ecco il punto: la Sicilia è un’isola di merda se non si ribella. Non la Sicilia è un’isola di merda. Lo è se non si ribella. Da questa professione d’amore i media hanno estrapolato solo il punto di odio più squallido”.

La Sicilia si ribella da sempre. Vecchioni si ricorda Placido Rizzoto, il sindacalista di Corleone? E’ mai stato a Partanna sulla tomba di Rita Atria, la ragazza che si era ribellata alla propria famiglia mafiosa? La Sicilia non è solo il mare, i templi di Selinunte e di Agrigento, ma è la terra di chi allo Zen ogni giorno lotta per alfabetizzare ragazzini strappati alla mafia. Vecchioni dovrebbe farsi raccontare da Rita Borsellino e da Gregorio Porcaro, l’ex vice parroco di don Pino Puglisi, quanti uomini e donne hanno conosciuto che alzano la testa contro la mafia: testimoni di giustizia, commercianti, presidi, ragazzi che ogni giorno, senza clamore, dicono un no, non accettano di pagare il pizzo, non scendono a compromessi.

Ai miei alunni quando in geografia, arrivo alla Sicilia, non parlo di questa terra come un’isola che “è di merda se non si ribella” ma racconto loro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, del capitano Emanuele Basile, dei giovani di “Addio Pizzo”, di quei magistrati che vivono da anni sotto scorta. La Sicilia, caro Vecchioni, si ribella da sempre. Chi non si ribella alla mafia è certa politica, è certa antimafia. Chi non si ribella è l’oligarchia di certi partiti che qui in Sicilia “comprano” voti in cambio di un pacco di pasta o di tre mesi di lavoro. Il professore al posto di citare quei 200 senza casco avrebbe ben fatto a fare la lista di nomi e cognomi di quei politici di Centro Sinistra e Centro Destra, indagati, condannati per voto di scambio o per altri reati simili. Caro Vecchioni, non è la Sicilia che non si ribella ma è certa Italia che non ha mai alzato la testa. Milano compresa.

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