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È finalmente tempo di smart working, ovvero del lavoro flessibile e decentrato, da svolgere fuori ufficio, focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi produttivi concordati più che sulla presenza fisica in azienda, con una spiccata autonomia su tempi, orari e sedi di lavoro e in cui la comunicazione digitale ha un ruolo strategico.

Non solo il 2015 registra un incremento dei progetti di smart working di più del doppio rispetto all’anno precedente (sono stati avviati dal 17% delle grandi imprese italiane), ma i nove articoli contenuti in un ddl collegato alla Legge di Stabilità 2016 e ora all’esame della commissione Lavoro della Camera, potrebbero finalmente dare un quadro normativo certo in cui lavoratori e aziende possono muoversi, incoraggiando così un processo inarrestabile, che ha già dato i suoi primi risultati.

Le imprese stanno infatti guardando con interesse crescente al lavoro collaborativo e condiviso che si sviluppa nei co-working, dove lavorano nomadi digitali e startupper, cercando, nelle reti collaborative di persone che lì si creano, le specifiche professionalità di cui hanno bisogno, integrandole in modo flessibile.

E anche le Pmi iniziano a sperimentare nuove modalità di lavoro da incorporare nell’azienda col ricorso a professionisti freelance che offrono servizi specifici e propongono soluzioni innovative per il business aziendale.

Certo, la strada è ancora lunga e i primi passi riguardano soprattutto l’adozione da parte delle imprese di device mobili – come pc portatili, tablet o smartphone – per lavorare fuori dell’ufficio, la flessibilità d’orario e la social collaboration, ovvero il ricorso a sistemi di instant messaging, di condivisione in Rete dei documenti, di web conferencing e di social networking e blogging aziendale.

Per una svolta reale serve un’evoluzione profonda della cultura del lavoro, andando oltre l’adozione dei singoli strumenti digitali per creare un’organizzazione del lavoro orientata ai risultati, fondata sulla fiducia invece che sul controllo, sulla responsabilità invece che sulla gerarchia, sulla flessibilità invece che sulla rigidità e sulla collaborazione invece che sulla competizione.

Questo passa innanzitutto da nuovi modelli organizzativi in grado di raggiungere gli obiettivi aziendali e di soddisfare al tempo stesso esigenze, aspirazioni e punti di forza delle persone, sfruttando al meglio le opportunità dei nuovi strumenti digitali. Forme di flessibilità del luogo di lavoro e il lavoro in remoto consentirebbero la tanto agognata conciliazione vita-lavoro e permetterebbero di coniugare il lavoro dipendente con il desiderio di indipendenza da una sede fissa e, spingendoci ancora oltre, con stili di vita mobili.

Un aspetto non secondario riguarda poi gli spazi di lavoro, che non corrispondono più ai nuovi comportamenti professionali e alla coesistenza di lavoratori dipendenti e di freelance. Se il business diventa collaborativo e mobile, anche gli ambienti lavorativi devono essere riprogettati per supportarlo, diventando sempre più simili ai co-working, spazi di lavoro condivisi riflesso di un cultura collaborativa lontana dall’individualismo sfrenato del lavoro autonomo o del carrierismo.

In questo scenario, la sede di lavoro – l’ufficio aziendale è ancora oggi un luogo chiave – perde progressivamente importanza, fino a diventare ininfluente per la produttività, per il rispetto delle scadenze, per il raggiungimento degli obiettivi.

I nomadi digitali, freelancer e micro imprenditori della Rete, che lavorano in remoto ovunque vi sia una connessione alla Rete, lo sanno bene e soprattutto sanno che è possibile ridisegnare il lavoro in chiave mobile.

A loro la ‘rivoluzione digitale’ ha cambiato in meglio la qualità del lavoro e della vita, adesso potrebbe essere il turno dei lavoratori tradizionali.

Marta Coccoluto

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