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Secondo quanto riporta Mauro Fiorentino, già Rettore dell’Università della Basilicata, nel saggio La Questione Meridionale dell’Università – 5000 lire io, 5000 lire Patrizia e nu milione e due tu” (Editoriale Scientifica – Napoli), l’attuale finanziamento delle università meridionali è lo stesso del 2001. Per il Nord, invece, ci sono quasi 500 milioni in più. Tanto basta, al ministero dell’Università e della ricerca, per meritarsi il titolo di “Robin Hood alla rovescia”, secondo il professor Fiorentino.

Tra il 2008 e il 2014 le università statali del Sud si son viste tagliare circa 250 milioni di euro all’anno, quelle del Nord circa 25 milioni. Questo ha comportato che il 50% dei tagli abbia riguardato solo il meridione. Andando indietro nel tempo non andava meglio in tempi di crescita di finanziamenti: nel periodo 2001-2008 alle università del Centro e del Nord, andavano, rispettivamente, 250 milioni e 500 milioni in più rispetto alle università del Sud.

E oggi? Cosa succede? Come riportato da roars.it, “Nel 2015, la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario prevedeva una quota “premiale” di 1.385.000.000€, da distribuire sulla base di quattro indicatori. La differenza più evidente tra Atenei che vincono o perdono è nella distribuzione territoriale: la maggioranza di “perdenti” è al Sud mentre i vincenti si trovano quasi tutti al Nord. Raggruppando gli Atenei per regione, appare chiaro che il 90% del guadagno appartiene a 5 regioni: Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia, Toscana. Il 95% della perdita è a carico di 5 regioni: Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia”. E, più avanti nel testo, “La conseguenza del meccanismo premiale è che arrivano più fondi per gli studenti che hanno percorsi universitari migliori, mentre gli studenti in maggiori difficoltà subiscono una riduzione di finanziamenti. D’altra parte, la logica del merito è questa: solo i migliori vanno avanti. Non importa quanto la riuscita scolastica di uno studente sia influenzata dal reddito e dal background familiare (titolo di studio dei genitori) e quanto la distribuzione di queste variabili sia diversificata sul territorio italiano”. Per intendere la gravità della cosa, occorre riguardare la mappa nazionale dei redditi.

Le disastrose conseguenze sono ovvie: iniquità nelle offerte formative sul territorio, penalizzazione ingiustificata di una porzione del paese, negazione pratica del diritto allo studio. In altri termini: ulteriore declino delle regioni del Mezzogiorno. Cui prodest? Nei dubbi sono in ottima compagnia. Il professor Gianfranco Viesti, esperto nel settore, parla di una “compressione selettiva e cumulativa” a causa della quale “ben poco possono fare gli atenei ‘peggiori’ per migliorare; o comunque mai tanto per invertire queste tendenze. Nulla è indirizzato a favorire il miglioramento di queste università; ottimi dipartimenti (stando alla VQR) di atenei ‘scadenti’ vedono il loro finanziamento e le possibilità di sviluppo compromesse”.

Vada pure per il meccanismo meritocratico, ma se non permette la “redenzione” di atenei o anche solo di dipartimenti virtuosi non ci siamo. L’attribuzione, ad una università, di una maggior quota di finanziamento rispetto alle altre deve costituire, sì, un titolo di merito ma, al contempo, una maggiore responsabilità. Mi spiego: se un ateneo ha ricevuto molto di più di un altro, è evidente che quest’ultimo potrà difficilmente colmare il divario di produzione scientifica, destinato ad allargarsi ulteriormente, soprattutto se la valutazione della produzione scientifica non tiene conto del denaro pubblico speso per ottenerlo. Se chi riceve pochi finanziamenti fa molto per recuperare quella produzione, non può essere omogeneamente confrontata col risultato di chi ha ricevuto molto. Se il risultato non viene pesato sul finanziamento ricevuto, insomma, i divari potrebbero esser destinati ad allargarsi senza permettere di invertire la tendenza.

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