Nel 2007 Raffaele Cantile e Francesco Piccolo, titolari della Pi.Ca Holding di Nonantola, denunciarono il boss dei casalesi Michele Zagaria per aver subito presunte minacce e intimidazioni. Poi hanno vissuto sotto scorta, trasformandosi in simboli della lotta alla mafia. Oggi, però, le indagini del Girer, il gruppo interforze nato per contrastare i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nella ricostruzione post sisma in Emilia Romagna, raccontano una verità diversa. La prefettura di Modena, infatti, nei giorni scorsi ha escluso la Pi.Ca Holding dalla white list, cioè dagli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, introdotti con il decreto legge 174/2012 per stabilire chi può accedere alle gare d’appalto pubbliche e private nei territori interessati da eventi calamitosi. E le ha tolto il certificato antimafia.

Perché secondo gli inquirenti, la Holding – che opera dall’Emilia Romagna dopo che una quindicina d’anni fa i due imprenditori lasciarono Casapesenna nel casertano, la città degli Zagaria – avrebbe rapporti proprio con i casalesi. Sarebbe “fondata – dice la prefettura, come riportato dalla Gazzetta di Modena – la sussistenza di un sensibile condizionamento da parte della criminalità organizzata casertana”.

Al centro del provvedimento ci sono i rapporti tra la Pi.Ca e la famiglia dell’imprenditore edile che a luglio fu protagonista dell’indagine anticamorra Medea, Giuseppe Fontana, per i magistrati legato al clan Zagaria, oltre che da rapporti di parentela con Francesco Zagaria, detto “Francuccio ‘a benzina”, cognato del boss. Fontana, dicono gli inquirenti, in passato aveva già tentato la strada dell’antimafia ‘di facciata’: quando nel 2009 la sua società, la Co.Ge.Fon, era stata colpita da un’interdittiva che le vietava di lavorare nei cantieri pubblici, l’imprenditore aveva presentato denunce antiracket che però, dice un’informativa del Ros, sarebbero state costruite ad hoc per allontanare le indagini e l’attenzione della Procura. E per continuare a lavorare, aggiudicandosi appalti e commesse.

Per lo stesso scopo – secondo gli inquirenti – Fontana avrebbe fatto affari con la Pi.Ca, che dopo aver denunciato Zagaria è diventata simbolo dell’antimafia, continuando a operare nell’Emilia della ricostruzione post terremoto, e non solo. Negli anni, infatti, la holding, con sede legale a Milano e sede operativa a Nonantola, ha costruito un po’ di tutto: caserme, strutture ospedaliere e socio sanitarie, scuole, diverse delle quali nella zona colpita dal terremoto, e opere pubbliche tra Milano, Firenze e l’Emilia Romagna.

Alla Pi.Ca, ad esempio, Fontana ha ceduto un ramo d’azienda della Co.Ge.Fon, così che la società nonantolese vincesse appalti che poi avrebbe subappaltato all’imprenditore campano, come Fontana dice in un’intercettazione telefonica nelle mani dei carabinieri.

E secondo quanto scrive il Girer, riportato sempre dalla Gazzetta di Modena, Piccolo avrebbe anche ospitato Fontana, “prestandosi a svolgere una funzione nella strategia (di Fontana) di accreditarsi agli occhi di esponenti autorevoli sul territorio, delle forze dell’ordine, e nell’ambito dei circuiti antiracket”. Un piano che sarebbe stato elaborato dallo stesso boss dei casalesi: ripulire l’immagine delle aziende a lui vicine tramite finte denunce contro il clan. Elementi raccolti nei documenti investigativi delle forze dell’ordine che hanno indotto la prefettura di Modena a non considerare più la Pi.ca al di sopra di ogni sospetto.

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