Mancano tre settimane al “funerale delle tasse sulla casa”. Il 16 dicembre, così come ha proclamato lo scorso luglio il premier Matteo Renzi, si dovrebbero pagare gli ultimi bollettini della Tasi e dell’Imu sulle seconde case. Anche se, in attesa che venga approvata la legge di Stabilità che ne prevede la cancellazione, c’è anche il forte rischio che una bella fetta di italiani debba sborsare ancora qualcosa nel 2016 – una sorta di mini Tasi, quanto meno a titolo di conguaglio – per il solito pasticcio che si crea ogni anno con i Comuni che comunicano in ritardo le aliquote con cui calcolare l’imposta. E, comunque, nonostante questa girandole di rilanci, promesse di semplificazione e riduzione della pressione fiscale, il capitolo tasse sul mattone non si esaurisce qui. Non solo, infatti, la local tax (che avrebbe dovuto riordinare Imu e Tasi) è stata fatta slittare al 2016 per le sue difficoltà di applicazione, ma né il governo né qualsiasi tecnico è mai riuscito a far sparire la Tari, la tariffa sui rifiuti e sui servizi indivisibili che va direttamente nelle casse comunali garantendo ogni anno ai sindaci un gettito di 3,2 miliardi di euro. Con la seconda rata della tassa rifiuti che in centinaia di città, tra cui Roma e Bologna, va pagata entro lunedì 30 novembre.

Le scadenze della Tari, che da gennaio 2014 ha sostituito i precedenti tributi dovuti ai Comuni (Tarsu, Tia e Tares) non sono infatti uguali per tutti i contribuenti, ma variano in base alle decisioni delle amministrazioni. A Milano, ad esempio, la seconda rata è scaduta a fine ottobre; a Torino gli acconti sono stati pagati con le vecchie tariffe e il saldo (con quelle nuove) va versato entro il 10 dicembre; a Genova mancano la terza rata (a novembre) e il saldo (a dicembre); a Napoli hanno iniziato a pagare a ottobre e finiscono con rate bimestrali ad aprile 2016; a Bari è in scadenza la seconda rata, poi ci sarà quella di gennaio e il saldo a marzo 2016.

Chi deve pagarla – In questa gincana di date, tra immondizia differenziata, indifferenziata e una serie di contenitori colorati in cui smistarla in diverse ore della giornata, la Tari chiama alla cassa chi occupa o detiene l’immobile, a qualsiasi titolo, dal momento che produce rifiuti. Quindi anche da chi vive in affitto, sempre che la locazione superi i 6 mesi nel corso dell’anno solare. La tassa sui rifiuti resta legata alla superficie calpestabile e non a quella catastaleda poco pubblicata nelle visure delle unità immobiliari.

Come si paga – Il contribuente dovrebbe ricevere dal proprio Comune l’avviso di pagamento con il modello F24 o con i bollettini postali precompilati, con l’importo da pagare e le relative scadenze. Ma se non si riceve alcun avviso, il consiglio è contattare l’ufficio tributi o visionare il sito internet istituzionale che di regola avvisa sul pagamento e su eventuali ritardi nell’invio dei bollettini. A volte può accadere che, ricevuto l’avviso di pagamento, il contribuente si accorga anche di alcuni errori nel calcolo della tassa. E in questi casi si deve immediatamente avvisare il Comune che provvederà a fare le opportune verifiche e inviare i nuovi bollettini corretti.

Quando è possibile non pagare – L’esborso può essere evitato quando la casa è inagibile, inabitabile o diroccata, ma anche quando risulta inabitabile per altri motivi. Ma serve una corposa documentazione per dimostrarlo al Comune. Se, infatti, l’appartamento è solo vuoto (senza nessun mobile) non è detto che scatti l’esenzione, visto che – come chiarisce una nota del ministero dell’Economia del 2013 – devono essere staccate anche tutte le utenze di acqua, luce, gas e telefono. “La presenza di questi servizi – si legge – costituisce presunzione semplice dell’occupazione o conduzione dell’immobile e della conseguente possibilità di produzione di rifiuti”.

Quanto si paga – Nel 2015 l’importo medio della Tari, che si calcola sulla superficie calpestabile considerata al netto dei muri interni, pilastri e muri perimetrali, è di 296 euro a famiglia, in linea con quello dello scorso anno, ma superiore di 66 euro rispetto alla media del costo della Tasi (230 euro). A registrare la stangata peggiore è stata Salerno (con 462 euro l’anno a famiglia), Benevento (454 euro), Grosseto (450 euro) e Siracusa (444 euro). Ma, se si guarda agli ultimi quattro anni – come ha calcolato il Servizio Politiche Territoriali della Uil – gli aumenti medi nelle grandi città hanno registrato un aumento del 32,4%. Ogni Comune può comunque decidere di applicare sconti o esenzioni che tengano conto del reddito della famiglia, della situazione di disagio fisico in cui versa il proprietario dell’immobile o della presenza di figli.

Se si paga in ritardo – Come per tutte le tasse, va utilizzato lo strumento del ravvedimento operoso, vale a dire versare quanto dovuto più le sanzioni e gli interessi che vanno dallo 0,2% nel caso in cui sia si paghi entro due settimane dalla scadenza, al 3,75% se si salda entro un anno.

Dove e come si spende meno – Decine di piccoli Comuni italiani hanno applicato il “baratto amministrativo“, previsto dall’articolo 24 del decreto Sblocca Italia che dà la possibilità ai cittadini che forniscono ore di lavoro e servizi di avere uno sconto sulle tasse. È il caso, ad esempio, di Invorio (in provincia di Novara), Massarosa (Lucca) e Borgo a Mozzano (Lucca) dove in cambio del taglio dell’erba nelle aiuole, l’imbiancatura di alcune aule della scuola o piccoli lavori di falegnameria è possibile non pagare la Tari. C’è poi la possibilità di richiedere al Comune uno sconto aderendo al compostaggio domestico dei rifiuti organici e degli scarti alimentari trasformandoli in terriccio fertile (compost). La riduzione della quota variabile della tariffa arriva anche al 50% e va calcolata nel documento di pagamento successivo all’anno in cui si è praticato il riciclaggio dei rifiuti organici.

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