Mondadori diventa un caso politico. Ed è in buona compagnia. Dopo la decisione dell’editrice della famiglia Berlusconi di chiudere la redazione romana dei settimanali “Panorama”, “Chi” e “Sorrisi e Canzoni”, trasferendo parte dei giornalisti a Milano e trasformando gli altri (che resteranno invece nella Capitale) in “smart workers”, cioè lavoratori senza sede fissa, in Parlamento piovono interrogazioni. Che accendono i riflettori anche sulla vicenda dell’agenzia di stampa ‘Il Velino’ e la situazione del ‘Corriere di Maremma’ della famiglia Angelucci. Dopo quella del dem Michele Anzaldi alla Camera, seguito a ruota al Senato dai colleghi Aldo Di Biagio di Alleanza popolare e Francesco Scalia del Partito democratico, ora è la volta di Donatella Agostinelli del Movimento 5 Stelle che, con un testo presentato in commissione Cultura di Montecitorio e firmato da tutti i componenti del M5S in seno all’organismo parlamentare, chiama in causa direttamente il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, oltre ai ministri dello Sviluppo economico e del Lavoro, Federica Guidi e Giuliano Poletti. Un vero e proprio atto di accusa lanciato proprio nei giorni in cui la stessa commissione si sta occupando delle audizioni relative all’esame delle proposte di legge per l’istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e, soprattutto, delle deleghe al governo per la definizione del sostegno pubblico all’editoria.

SACRIFICI A SENSO UNICO – All’esecutivo i deputati del M5S chiedono di attivarsi in relazione ai “processi di ristrutturazione” avviati non solo “dalla Mondadori”, ma anche “dalle altre case editrici”, per tutelare “i diritti dei lavoratori coinvolti, riducendo al minimo i costi sociali, tanto più in considerazione del fatto che le aziende interessate hanno ricevuto cospicui finanziamenti pubblici”. La Agostinelli vuole anche sapere quali iniziative il governo intenda intraprendere per “evitare che il risanamento dei conti aziendali ed operazioni espansive sul mercato dell’editoria abbiano come contraltare il sacrificio” dei dipendenti (tra prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà), oltre ad “ingenti ricadute sulle finanze statali e dell’Inpgi”, l’istituto di previdenza dei giornalisti. Richieste alle quali si aggiunge pure quella di chiarimenti, contenuta anche nelle tre interrogazioni che l’hanno preceduta, in relazione al ricorso da parte di Mondadori allo smart working, “una figura non ancora disciplinata nel nostro ordinamento” che, si legge nel testo di Anzaldi, “fa riferimento ad una prestazione di lavoro subordinato che si svolge al di fuori dei locali aziendali con un orario medio annuale inferiore senza l’obbligo di utilizzare una postazione fissa”.

CRISI A CATENA – Vicende che l’interrogazione della Agostinelli ricostruisce in maniera dettagliata. A cominciare proprio dalla Mondadori, i cui guai, secondo la parlamentare, iniziano nel 2009 con l’apertura del primo stato di crisi che porta all’attuazione di un “piano di risanamento aziendale, in parte finanziato dallo Stato nonostante i bilanci fossero in utile, semplicemente a fronte di previsioni negative per il futuro”. Un piano che non risolve la situazione e che non evita all’editrice della famiglia Berlusconi di dichiarare un secondo e, infine, un terzo stato di crisi. Fino alla chiusura della redazione romana dei tre periodici di punta. Eppure, il 10 novembre di quest’anno un articolo del Fatto Quotidiano, citato nell’interrogazione, spiegava che “la ristrutturazione del gruppo l’hanno in parte pagata i contribuenti anche grazie a una legge del 2010, che ha concesso stati di crisi e prepensionamenti agli editori. A Palazzo Chigi c’era l’editore Silvio Berlusconi. Di che cifre parliamo? I conti sono in una interrogazione al governo del deputato renziano Michele Anzaldi: tra prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà 2013-2015 (rinnovati questa estate) fanno un po’ meno di 15 milioni di euro, solo di utili”. Secondo la Agostinelli, aiuti di Stato che hanno permesso “a Mondadori di tornare in utile, nonostante i ricavi da vendite e da pubblicità fossero addirittura in calo”. E “di accedere al finanziamento da 127,5 milioni di euro per l’acquisto di Rcs (libri), così come dichiarato dallo stesso amministratore delegato in una intervista sul Sole24Ore”.

IN BUONA COMPAGNIA – Ma la Mondadori non è stata l’unica azienda a ristrutturare. La Agostinelli ricorda anche la “vertenza che ha interessato la redazione dell’agenzia di stampa romana il Velino che ha proclamato uno sciopero di 5 giorni (dal 9 al 13 novembre), per protestare contro l’attivazione unilaterale della cassa integrazione”. Inoltre, il 5 ottobre 2015 “è stato chiuso anche il Corriere di Maremma, della famiglia Angelucci, che ha determinato il collocamento in cassa integrazione a zero ore i 5 giornalisti della redazione grossetana, con l’interruzione dei rapporti di lavoro per molti altri collaboratori della testata”. A fronte di 25 esuberi, poi ridotti a 18, “a rimetterci è stata soprattutto la redazione grossetana, smantellata del tutto, mentre per altri giornalisti delle redazioni di Siena, Arezzo, Grosseto, Viterbo e Rieti potrebbe esserci la possibilità dei contratti di solidarietà”. Il tutto mentre “il gruppo Tosinvest” degli Angelucci, accusa la deputata grillina, “sta trattando l’acquisto del Tempo di Roma, dopo aver fatto al tribunale un’offerta da 13 milioni di euro”. Ancora una volta, conclude la Agostinelli, “si incassano contributi pubblici e, grazie a quei fondi, si comprano aziende, mandando a casa lavoratori e senza investire un euro in risorse umane”.

 

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