Sembra un dettaglio ma non lo è: quanto è costato ai terroristi far precipitare l’Europa nella paura, con l’assalto a Parigi del 13 novembre? Ebbene, gli esperti sul punto stimano cifre relativamente basse, soprattutto rispetto agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Usa, che dettero l’avvio alla storia del terrore integralista nell’Occidente. Insomma, dal punto di vista finanziario (ma anche logistico, dal momento che si hanno a disposizione giovani fanatici e addestrati nell’uso delle armi) quelli pilotati dall’Isis in Europa sono attentati “facili”.

Ritorniamo proprio all’11 settembre. In seguito la Commissione nazionale istituita dal governo americano stabilì il costo delle operazioni fra i 400mila e i 500mila dollari, a carico di Al-Qaida (anche se non è mai stato reso noto il finanziamento dei sauditi). Ritorniamo a Parigi, quattordici anni dopo. “Per questi ultimi attentati sono stati sufficienti budget bassi, roba di poco conto – ha dichiarato all’agenzia France Presse Matthew Levitt, già dirigente del Tesoro statunitense, oggi ricercatore al Washington Institute -, si tratta di massimo 50mila dollari”. Anche per Jean-Charles Brisard, a Parigi presidente del Centro d’analisi del terrorismo, non superano “poche decine di migliaia di euro, che sono serviti a coprire le spese relative all’addestramento dei terroristi, ai loro spostamenti, all’alloggio, alle armi e alle munizioni”.

Gli attentati di una settimana fa sono stati rivendicati dallo Stato islamico, che è ormai considerato l’organizzazione terroristica più ricca del mondo. Proprio Brisard, con Damien Martinez, ha realizzato uno studio approfondito sulle finanze di Daesh. L’Isis conterebbe su un patrimonio di circa 2mila miliardi di dollari e su entrate annue pari a 2,9 miliardi di dollari, alimentate soprattutto dai proventi del petrolio (prodotto sui territori siriani e iracheni occupati e rivenduto a prezzo ridotto sul mercato nero), oltre che da estorsioni, ricatti, contrabbandi di vario tipo, senza sottovalutare il traffico dei reperti antichi.

Ma, in realtà, “le reclute e i simpatizzanti dello Stato islamico – ha sottolineato Levitt – vengono spinti dall’organizzazione a trovarsi da soli i soldi necessari a finanziare operazioni come quelle di Parigi”. Un autofinanziamento. Gli inquirenti francesi stanno indagando in questo senso e sembra che, in effetti, per gli ultimi attacchi si tratti di un insieme di canali diversi, sia di contributi in arrivo da Daesh che del finanziamento autonomamente reperito sul posto. Nel primo caso, i fondi sarebbero portati in liquido dalla Siria fino all’Europa occidentale, seguendo il flusso dei migranti, per evitare i controlli sui trasferimenti bancari. In ogni caso, non si tratta di cifre mirabolanti.

Riguardo ai secondi, le indagini continuano, ma già per gli attentati dello scorso gennaio a Parigi, i terroristi coinvolti si erano arrangiati in vari modi. Amedy Coulibaly, autore di quello all’Hyper Cacher, aveva ottenuto un regolare prestito di 6mila euro da una società di credito al consumo, presentando bollettini dello stipendio falsi. Aveva acquistato un’auto, subito rivenduta. E con quei soldi aveva comprato le armi necessarie. I fratelli Kouachi, quelli del Charlie Hebdo, avevano fatto ricorso a un traffico di calzature e scarpe da tennis contraffatte. “Ci troviamo in ogni caso dinanzi a un sistema di finanziamento di prossimità – ricorda Valérie Hauser, della società di consulenza Solucom -, che passa attraverso l’accumulazione dispersiva di piccole somme”.

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