“Il Consiglio Superiore dei “Beni Culturali e Paesaggistici” del Mibact, riunito il 16 novembre 2015, appresa la notizia dell’approvazione al Senato di un emendamento presentato dal M5S relativo all’abbassamento al livello della laurea triennale del titolo per l’accesso ai prossimi concorsi per 500 posti di funzionari tecnico-scientifici del Mibact previsti nella Legge di Stabilità attualmente all’esame del Parlamento, esprime viva preoccupazione e decisa contrarietà verso tale decisione, dal chiaro sapore demagogico, evidentemente assunta in maniera leggera e frettolosa”. Iniziava così il testo-denuncia dell’“organo consultivo del Mibact a carattere tecnico-scientifico in materia di beni culturali e paesaggistici” dopo la divulgazione sul sito del Ministero, peraltro in parte errata, dell’emendamento. A presentarlo, infatti non era stato il M5S ma due ex M5S ora all’Idv. Quindi “le scuse al M5S per tale spiacevole inconveniente, determinato esclusivamente da notizie non precise”. “Inconveniente” risolto. Anche se, indizio di una certa inadeguatezza, certamente a livello comunicativo. Ma il problema non è questo. Almeno non quello principale.

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“Il Consiglio Superiore ritiene che la decisione di prevedere un titolo di primo livello per funzioni così rilevanti risulti anche offensiva nei confronti dei tanti giovani, preparati nelle università italiane e straniere, che con impegno ed enormi sacrifici, personali e delle loro famiglie, conseguono lauree magistrali, master, specializzazioni, dottorati, in Italia e all’estero …”. Parole sacrosante, quelle del documento denuncia! Tag di sicuro effetto. “Impegno”, “sacrifici, personali e delle famiglie”. Migliaia di persone di ogni età, professionisti del settore e non, chiamati in causa. A quanto si legge, rassicurati. Una specie di “State sereni. Ci pensiamo noi”. Una laurea triennale non può essere equiparata a quella magistrale. Tranquilli! Non accadrà. “Una scelta di tale tipo da parte del Parlamento svuoterebbe di fatto di significato le specifiche classi di laurea e le scuole di specializzazione e le scuole di dottorato destinate alla formazione di archeologi, archivisti, bibliotecari, storici dell’arte, economisti della cultura, e altre qualificate figure del Patrimonio culturale”, si argomenta nel documento.

“Il lavoro nell’ambito della tutela richiede competenze specifiche, che non possono essere garantite dal primo livello di studi universitari, che come sappiamo è un livello molto di base”, spiega il presidente del Consiglio Superiore, Giuliano Volpe, archeologo e docente dell’Università di Foggia. Ragionamento chiaro. Se non fosse che nella realtà già accade quel che si commenta con preoccupazione. Ben inteso non esistono funzionari con lauree triennali. La tutela dall’alto sembra garantita da “competenze specifiche”. Anche se talvolta esplicitate in maniera inadeguata alle circostanze. Ma poi sui territori  può dirsi accada lo stesso? Le diverse Soprintendenze archeologiche possono affermare che nei migliaia di cantieri, non solo di archeologia preventiva, disseminati per l’Italia, lavorino “qualificate figure del Patrimonio culturale”? Quanto queste scelte abbiano contribuito ad accrescere le criticità di ogni tipo, di tantissimi professionisti, è sfortunatamente noto solo in parte. Quanto le scelte di molte Soprintendenze di appaltare i cantieri a Società di Servizi e non direttamente ai singoli, e quindi ad avere un ruolo più diluito di supervisione, abbia contribuito ad abbassare il livello delle competenze, invece è noto.

Di certo a quanti dopo aver conseguito la laurea magistrale con “impegno ed enormi sacrifici, personali e delle loro famiglie”, non di rado dopo specializzazioni e dottorati, si sono visti costretti ad accettare compensi mortificanti. D’altra parte, per la maggioranza delle cooperative la logica del guadagno mal si concilia con “competenze specifiche” dei collaboratori occasionali. Si offre (mal pagato) un lavoro. Che conta se chi si manda a fare sorveglianza su un cantiere Italgas oppure Acea ha una laurea triennale o un dottore di ricerca? Anzi, molto meglio chi ha meno competenze. E minori pretese.

Dopo anni di pratiche sostanzialmente accettate a Roma, recentemente, la Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale e l’area archeologica, è intervenuta. Esprimendo “preoccupazione circa l’andamento attuale del reclutamento degli archeologi da parte delle Società di Servizi, secondo la politica del massimo ribasso”. Richiedendo “standard professionali per l’assistenza archeologica, standard di documentazione”. In realtà, semplici desiderata. Nulla di vincolante. Comunque qualcosa rispetto a quel che accade altrove. Nord e Sud, indifferentemente.

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Ecco dov’è il paradosso. Chi ora s’indigna e chiede che ad occuparsi di tutela siano “qualificate figure del patrimonio culturale”, sono gli stessi che almeno nell’ultimo decennio hanno per certi versi garantito che i cantieri fossero aperti a tutti. Al vecchio specializzato come al giovane triennalista. Senza alcuna distinzione. Per questo l’emendamento sulla laurea triennale è un problema, ma non quello principale.

Chiedersi in che cosa siano stati occupati di così gravoso i diversi Consiglio Superiore che si sono succeduti negli ultimi anni per tralasciare una questione così centrale è lecito. Intervenire molto più di una necessità. Per una più efficace tutela del patrimonio archeologico, naturalmente. Ma anche per evitare che si svuotino “di fatto di significato le specifiche classi di laurea e le scuole di specializzazione e le scuole di dottorato”. Circostanza che purtroppo già si è sostanzialmente verificata. Con la collaborazione di molti. Per questo gli “enormi sacrifici” di tanti giovani e delle loro famiglie, richiamati ora sembrano fuori luogo. Addirittura come un’offesa per molti. Un’inutile tirata demagogica. Insomma oltre il danno, pure la beffa.

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