Almeno le cose sono chiare. Secondo il principale consigliere del candidato della destra Macri, che risponde al nome di Aguinis, il Paese provò un grande “sollievo” quando la dittatura genocida del generale Videla assunse i pieni poteri nel 1976, dando inizio ai più terribili sette anni della storia argentina, marcati dallo sterminio degli oppositori (oltre trentamila desaparecidos) e dall’asservimento più totale ai dettami del capitalismo internazionale. Questo signore ha anche insultato le leader del movimento delle madri di Plaza de Mayo, Hebe de Bonafini ed Estrela Carlotto, sostenendo che si tratta di “persone disprezzabili”. Un altro componente del “think thank” di Macri se l’è presa invece con Papa Francisco, che aveva dichiarato di essere dalla parte dei poveri e dei lavoratori (quindi di Scioli), affermando che il Papa sposta pochi voti Vedremo. Intanto prendiamo atto che è questa gente che rischia di andare al governo domenica, dando espressione agli umori più inquietanti dell’Argentina profonda, fatta di padroni insaziabili e schiavi senza speranza.

Argentina-Macri

Eppure la storia di questo Paese è ben più affascinante e complessa. Gli inni nazionali contengono a volte, al di là della retorica che spesso inevitabilmente ne accompagna l’echeggiare, talune frasi rivelatrici di un momento storico, di uno stato d’animo positivo e costruttivo, volto ad affermare valori comuni che resistono nonostante le tempeste della storia. E’ il caso ad esempio dell’inno argentino, che ho sentito cantare nelle piazze di Buenos Aires in questi giorni dai sostenitori di Scioli. Una frase in particolare mi ha colpito, quella che dice: “Y los libres del mundo responden: ‘Al gran pueblo argentino, ¡salud!'”. Un’ansia di libertà e di solidarietà internazionale per un mondo nuovo che risale al periodo dei libertadores o proceres come si dice da queste parti, cioè dei leader storici come Bolivar, San Martin, O’Higgins e altri che aprirono la strada con dure lotte e guerre di liberazione all’indipendenza dal colonialismo spagnolo all’inizio del Diciannovesimo secolo.

Il mancato compimento dell’indipendenza, la sua trasformazione da meramente formale a sostanziale, il mancato raggiungimento della piena autonomia nelle scelte relative all’organizzazione economica, politica e sociale e ai rapporti internazionali, ha costituito a ben vedere la tragedia storica dei popoli che si erano ribellati al colonialismo, in America Latina, come, un secolo e mezzo dopo, in Asia ed in Africa. La piena indipendenza, da raggiungere anche attraverso le indispensabili forme di integrazione su base continentale, costituisce quindi tuttora un programma da realizzare, specie di fronte al pericolo dei ritorni delle politiche di assoggettamento a centri di potere esterni, siano essi finanziari, economici o politici.

Quella verso il conseguimento di detta piena autonomia non è certo una strada facile. Al pericolo delle intromissioni di detti centri potere si somma la debolezza strutturale degli Stati, tuttora afflitti da fenomeni di corruzione e criminalità, che proprio quei centri prendono a pretesto per screditare i governi che vorrebbero procedere sulla strada giusta. Di ciò vi è, qui in Argentina, profonda consapevolezza nella parte più matura ed organizzata del Paese. Non a caso uno degli slogan più gridati è “Patria sì, colonia no!”, laddove il termine patria non ha il suono un po’ vacuo e poco significativo che purtroppo tende ad assumere dalle nostre parti, anche per effetto del selvaggio abuso effettuatone da parte di nazionalisti, guerrafondai e fascisti, ma assume invece un valore di un programma di trasformazione profonda e di instaurazione di un senso civico e di coesione nazionale tuttora insufficiente.

E’ però del tutto chiaro come questa battaglia assume una portata che va ben al di là dei confini dell’Argentina e di quelli della stessa America Latina. E’ in gioco il diritto di libera autodeterminazione dei popoli anche e soprattutto contro i centri di potere che vorrebbero imporre politiche ispirate ad interessi diversi da quelli dei popoli stessi. E qui l’esempio della Grecia, costretta contro la sua volontà ad ingoiare l’amaro calice delle politiche volute da Germania ed Unione europea, viene ovviamente del tutto a proposito. Ecco perché è importante che vinca Scioli alle elezioni di domenica, pur con tutte le legittime critiche che si possono formulare su questo o quell’aspetto delle politiche dei Kirchner. Bisogna infatti capire che l’eventuale avvento al potere di Macri peggiorerebbe la situazione da ogni punto di vista, anzitutto per il popolo argentino, che si vedrebbe sottoposto a una nuova ondata di rincari, privatizzazioni, licenziamenti, tagli dei programmi sociali e popolari.

Mi diceva al riguardo il tassista che mi ha scarrozzato l’altra mattina che è probabile, di fronte alla vittoria di Macri, una nuova ondata di proteste popolare e di saccheggi, intorno più o meno al 20 dicembre. Paradossalmente, ne saranno autori anche molti che voteranno Macri domenica prossima. Non sempre il popolo è razionale. Ma domenica verificheremo anche il livello di radicamento popolare delle combattive avanguardie che si stanno riunendo in questi giorni per sostenere la candidatura di Scioli e che sono pienamente consapevoli della necessità di arrivare ben dentro ogni strato del popolo argentino per vincere questa difficile battaglia.

Ci riusciranno? Occorre augurarselo, nel comune interesse di chiunque non vuole che il mondo continui ad essere governato e dominato dall’infima minoranza che ci ha portato nella deplorevole situazione attuale, contrassegnata da fenomeni deleteri, tra loro evidentemente collegati, come l’approfondimento delle disuguaglianze, la disoccupazione di massa specie giovanile, la crescita della criminalità transnazionale, il terrorismo e la devastazione ambientale, tanto per limitarsi a citare i fenomeni più inquietanti che accompagnano questo inizio di millennio. Ciò ovviamente non esclude, anzi richiede con forza, un profondo rinnovamento del modo di essere del governo attuale.

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