“Se c’è l’accordo gli cafuddiamo (diamo, ndr) una botta in testa. Sono saliti grazie a noi. Angelino Alfano è un porco. Chi l’ha portato qua con i voti degli amici? E’ andato a finire là con Berlusconi e ora si sono dimenticati tutti”. Parlano così due mafiosi intercettati dai carabinieri, che avevano progettato l’omicidio di Angelino Alfano, ‘colpevole’ di avere aggravato il regime di carcere duro al 41 bis. A complottare contro il ministro dell’Interno che, dicevano, “dovrebbe fare la fine di Kennedy“, sono in tutto sei persone, tutte vicine a Totò Riina, arrestate all’alba dai carabinieri di Palermo tra Corleone, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina nell’ambito dell’operazione “Grande passo 3”.

Al telefono due di loro, Masaracchia e Pillitteri, riferendosi alle lamentele dei boss carcerati commentavano: “Dalle galere dicono cose tinte (brutte ndr) su di lui (Alfano)”, che “è un cane per tutti i carcerati”. Poi il riferimento a Kennedy, presidente degli Stati Uniti ucciso nel 1963. “Perché a Kennedy chi se l’è masticato (chi l’ha ucciso, ndr)? Noi altri in America. E ha fatto le stesse cose: che prima è salito e poi se li è scordati”. Nella conversazione i due mafiosi accennano, dunque, alla circostanza che il presidente Usa sarebbe stato eliminato dalla mafia perché, eletto coi voti dei boss, non avrebbe poi mantenuti i “patti”. Alfano, intervistato da Sky Tg24 a margine del vertice antiterrorismo di Bruxelles, alla domanda sulle minacce mafiose ha risposto: “Di questo parlo dopo“. E ha immediatamente interrotto l’intervista.

I sei arrestati – indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento, illecita detenzione di armi da fuoco – sono considerati i nuovi boss di Corleone, una città che ha visto l’ascesa criminale di Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella e che negli anni successivi al loro arresto ha vissuto una primavera antimafia, con iniziative antimafia tenute nella casa confiscata a Provenzano nel centro del paese. L’ostilità nei confronti del ministro dell’Interno emergeva già dalle intercettazioni depositate al processo di Palermo sulla Trattativa, quando Riina diceva di Alfano al detenuto Lorusso: “Quel disgraziato è accanito con il 41bis.

Tra gli arrestati dai carabinieri del Gruppo di Monreale, che hanno azzerato i vertici del mandamento di Corleone, c’è anche Rosario Lo Bue, capomafia già finito in carcere nel 2008, ma poi assolto e liberato, fratello di uno dei fiancheggiatori dell’ultima fase della latitanza del boss Bernardo Provenzano. La Cassazione dichiarò nullo il decreto che aveva autorizzato le intercettazioni a suo carico. L’indagine ha svelato anche il progetto di un omicidio imminente: alcune persone si sarebbero rivolte a Cosa nostra per risolvere problemi legati alla riscossione di una grossa eredità.

L’operazione ‘Grande passo 3’ – Condotta dai carabinieri del gruppo Monreale guidati dal colonnello Piero Sutera, l’operazione è stata coordinata dal Procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci e dai pm Sergio Demontis e Caterina Malagoli. I sei fermi derivano da un’attività investigativa sviluppata in prosecuzione delle indagini denominate Grande Passo e Grande Passo 2, che tra il settembre 2014 ed il gennaio del 2015, avevano colpito gli esponenti delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano.

Le indagini “hanno permesso di individuare il capo mandamento in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, nonché di ricostruire l’assetto del mandamento mafioso di Corleone (uno dei più estesi) ed in particolare delle famiglie mafiose operanti sul territorio dell’Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa Entellina”, spiegano gli inquirenti, che nel corso delle indagini hanno documentato come “Lo Bue, capo assolutamente carismatico e fautore di una linea d’azione prudente” prosegua “nella linea di comando lasciatagli da Bernardo Provenzano“. Antonino Di Marco, aggiungono, arrestato “a settembre 2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall’altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni” aveva criticato la gestione degli affari dell’organizzazione di Rosario Lo Bue. Le indagini fanno quindi emergere come esistano al suo interno “due anime contrapposte, l’una moderata storicamente patrocinata da Bernardo Provenzano e l’altra più oltranzista fedele a Salvatore Riina“.

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